Dalla fondazione (734 a. C.) alla presa di potere di Gelone (485 a. C.)
Scrive Luigi Bernabò Brea che nell’ultimo terzo dell’VIII secolo inizia il fenomeno della colonizzazione greca sulle coste della Sicilia e dell’Italia meridionale. È uno dei fenomeni di maggior portata nella storia dell’incivilimento umano e per la formazione della civiltà europea. A questa colonizzazione partecipano due diverse stirpi greche. Aprono la via genti ioniche, soprattutto della Calcide nell’Eubea, che fondano Cuma e Pitecussae sulle coste della Campania, poi Naxos, la prima delle colonie siciliote, a cui seguono dopo brevissimo tempo Lentini, Catania, Zankle (detta poi Messana) e poi Rhegion … la colonizzazione ionica è seguita da quella delle stirpi doriche. Un gruppo di Corinzi, guidati da Archia, fonda Siracusa, mentre i Megaresi. fondano Mégara Hyblaea … alcuni decenni dopo, agli inizi del VII secolo a. C., Rodii e Cretesi fondano Gela sulla costa meridionale dell’ isola.
La piccola isola di Ortigia, sulla quale i corinzi guidati da Archia avrebbero piantato le tende, nel 734, era già stata a lungo sede di insediamenti umani, come a più riprese hanno provato ritrovamenti archeologici, massimamente quelli di Paolo Orsi, reperiti nelle vicinanze della cattedrale.
Ad ogni modo, se di questi antichissimi insediamenti ci rimangono soltanto le tracce ellittiche delle capanne preistoriche è solo da quel mitico 734 che la storia di Siracusa comincia a scorrere.
Siracusa, come già è detto nel passo riportato di Luigi Bernabò Brea, venne fondata dentro la scia di quel fatto storico di incalcolabile importanza che fu la colonizzazione greca; certamente, anche se non è questa la sede per affrontare un argomento complesso come quello relativo alla genesi sociale e politica di questa colonizzazione, qualcosa occorrerà dirne per chiarire meglio il quadro storico entro il quale collocare la nascita di quella che sarebbe presto diventata la metropoli più importante del mondo greco.
Giustamente nota il Finley che se l’emigrazione dalla Grecia verso Occidente fu certamente un movimento organizzato … da varie città-madri…l’effetto fu sin dall’inizio non di colonizzare ma di incoraggiare, e in qualche modo costringere, gli uomini a trasferirsi definitivamente in nuove e indipendenti comunità.
In effetti parrebbe opportuno distinguere tempi e fasi della colonizzazione greca, oltre quelli già individuati dal Brea e relativi alle due “razze” interessate all’avvenimento: ioni e dori.
Intanto sarebbe opportuno distinguere le città fondate dai greci in relazione ai vari “tipi” di territorio colonizzato.
Una prima serie di colonie, infatti (Ischia, Cuma, Messina, Reggio), è indiscutibilmente legata a uno schema generale che prevede un collegamento marittimo e quindi una via commerciale fra l’entroterra italiano, ricco di metalli (Finley), e la madre-patria.
Una seconda serie di colonie, invece (Siracusa, Gela, Akragas), non entra in questa visione marittima ma serve a costituire delle teste di ponte per una conquista da proiettarsi all’interno del territorio e quivi stabilizzarsi. In tutti e due i casi le fasi dell’intervento è logico siano state precedute da saggi esplorativi che non possono non essere stati svolti che dalla pirateria, molto praticata dagli ellenici; devono essere stati i pirati, i razziatori della canaglia ellenica, a portare le prime notizie sulla geografia, sulla ricchezza, sulle più antiche popolazioni dei luoghi da conquistare.
L’Islam, nei confronti della Sicilia, più di mille anni dopo, procederà proprio attraverso queste fasi di conquista.
Purtroppo le fonti che conosciamo non ci dicono quale elemento sociale dello stato greco procedesse a questo tipo di stanziamento (parliamo del secondo “tipo” di colonia che è quello interessante Siracusa); vi sono soltanto probabilità logiche che si trattasse in parte di transfughi politici e di emarginati in cerca di fortuna ai quali poi si sovrapposero altri elementi sociali.
In sostanza in un primo momento questa gente sarebbe stata “spinta” ad abbandonare la patria, un poco come i Padri Pellegrini inglesi, per fondarne una nuova che non ebbe subito rapporti stabili con la madre-patria; solo dopo molto tempo (c’è da pensare a Timoleonte) questi rapporti sarebbero stati riallacciati.
Elementi a favore di questa tesi sono le seguenti considerazioni:
1) non vi furono nei primi tempi reali e proficui rapporti commerciali fra Siracusa e la madrepatria e sarebbe stato assurdo profondere uomini e denaro in una impresa dalla quale poi non si ricavava nulla;
2) le colonie di Siracusa e di Gela non furono scelte a causa del loro porto (ragione che invece sarebbe stata determinante qualora queste città avessero dovuto mantenere rapporti con la patria lontana e qualora avessero dovuto mantenere regolari scambi commerciali). La stessa Siracusa venne scelta per la facile difendibilità del sito d’Ortigia, fortezza naturale circondata dal mare, e non per lo splendido porto, solo più tardi valorizzato;
3) le prime classi dirigenti di queste città non furono mai mercantili-marinare, ma esclusivamente agrarie. Ne risulta quindi chiarita la vocazione territoriale di Siracusa, così come di Gela e di Akragas.
Presto le antiche oligarchie terriere furono sostituite da quella figura politica autoctona che è il tiranno; la serie di tiranni siracusani porterà la città al proprio apogeo di potenza e di ricchezza e tutti gli storici sono concordi nel riconoscerne il valore.
Scrive il Finley: Il carattere assolutamente personale e individuale del modo di agire dei tiranni non può mai essere messo sufficientemente in rilievo. C’era in loro qualcosa di arrogantemente arcaico, persino di “eroico” e un notevole quoziente di megalomania. Prova ne sia il numero e la ricchezza dei loro tempI i. Essi non rifuggirono mai dalle atrocità, ma parole come “brutalità” e “tirannide” sono insufficienti di fronte alla rapidità con cui distruggevano e fondavano città, trasferendo ripetutamente decine di migliaia di persone. Il loro modo di trattare mogli e figlie era qualcosa di più della consueta utilizzazione del matrimonio a fini dinastici e politici, qualcosa di più della comune prerogativa dei re di prendersi qualsiasi donna avesse suscitato il loro desiderio; essi contrassero formalmente matrimoni multipli, burlandosi dei tabù greci contro la poligamia e ne uscirono indenni.
Voltaire nel suo splendido Il secolo di Luigi XIV dirà che la Sicilia non aveva mai avuto una storia degna di questo nome, tranne che nel periodo dei tiranni durante il quale contava qualcosa ed era libera di determinarsi politicamente.
Un giudizio altrettanto positivo esprime Erodoto nel libro terzo delle sue Storie dove dice in un passo riguardante Policrate: Giunto a Magnesia, Policrate fu ucciso miserabilmente, in modo non degno di lui né dei suoi disegni: ché al di fuori dei tiranni di Siracusa, neppure uno degli altri tiranni greci è degno d’essere paragonato per magnificenza a Policrate.
La nota sui tiranni di Siracusa inserita in un contesto dove si deve narrare la vicenda urbanistica della città ha un suo rilievo preciso sia per le ripercussioni immediate che la politica generale dei più grandi tiranni (Gelone, Dionigi il Vecchio, Timoleonte, Agatocle, Ierone II) ebbe sulla città determinandone l’espansione, il ripopolamento, l’afflusso di ricchezze, il mantenimento di un posto privilegiato nel mercato mediterraneo ecc., sia per gli interventi diretti derivanti dalla volontà di questi uomini nel vivo del tessuto urbanistico della città stessa.
Ricordiamo che i più grandi monumenti della città greca vennero tutti costruiti per volontà dei tiranni che, per quanto le fonti ci permettono di conoscere, rappresentavano lo stato stesso. Sembra quindi opportuno segnare la storia urbanistica della città con il nome dei vari tiranni, ognuno dei quali rappresenta per Siracusa un capitolo della sua storia urbanistica. Si dirà per inciso che con questo non si vuole intendere la storia della Siracusa arcaica e classica come una storia “poetica” dove al grande rilievo di tal une personalità fa riscontro l’assoluta piattezza dell’intero contesto sociale, grigio e amorfo sfondo delle epiche imprese di alcune forti individualità. Bisogna infatti notare in primo luogo che ogni ricostruzione dell’epoca arcaica e classica di Siracusa è relativa alle fonti attraverso le quali ci provengono le relative notizie, e queste fonti ci tramandano la concezione della storia intesa come la funzione delle volontà di un singolo. In secondo luogo la divisione della storia urbanistica di Siracusa in periodi scanditi dalle dominazioni dei vari tiranni risponde più a un criterio operativo che a una scelta sistematica; scelta che sarebbe assurda se non fosse fondata su un saldo idealismo obsoleto e categoricamente morto.
Di tutto il periodo arcaico, cioè dalla fondazione di Siracusa agli inizi del V secolo, non si conosce molto e dai pochi punti di riferimento in nostro possesso si può procedere a una ideale ricostruzione congetturale.
Poco per volta Siracusa, tenendo fede a quella sua già descritta vocazione territoriale, estese al retroterra il proprio influsso politico, incastonando lungo le linee del proprio sviluppo commerciale tre colonie (Akrai nel 664, Casmene nel 624 e Camarina nel 599). Così divenne, già all’inizio del quinto secolo, la potenza egemone della Sicilia orientale.
In questa fase, che precede l’esplosione urbanistica avvenuta con Gelone, Siracusa oltre a Ortigia, già dal VII secolo comprende il quartiere di terraferma denominato Acradina, la zona che dai due porti si estende verso nord-est.
In questa prima fase Ortigia conservò il ruolo di “centro”, ove erano gli edifici di maggior spicco, mentre Acradina, nato come sobborgo, era un quartiere di abitazione. L’isola era già stata nell’ottavo secolo, unita alla terraferma mediante una colmata di terra; in seguito verranno costruiti dei veri e propri ponti.
La città doveva ricalcare lo schema consueto dell’abitato di tipo greco e i ritrovamenti a mano a mano venuti fuori ne paiono confermare l’assetto.
In Ortigia l’abitato trovava il proprio centro civile nell’agorà, che supponiamo sia stata realizzata secondo i consueti canoni urbanistici; un’ampia piazza circondata da tre lati da edifici e aperta dal quarto lato. L’agorà di Ortigia si trovava vicino al tempio di Apollo che, già realizzato alla fine del VII secolo (e probabilmente terminato nei primi tempi del VI), rimane il più antico fra i templi siciliani e uno dei più arcaici dell’intera area culturale greca.
La morfologia della zona (l’attuale piazza Pancali) doveva essere molto diversa da quella attuale; il piano stradale era circa due metri più in basso che non il piano viario odierno e il mare vi entrava più profondamente, quasi lambendo l’imponente massa del tempio di Apollo.
Leggermente posteriore al tempio di Apollo è quello di Zeus Olimpico, realizzato su di un’altura sovrastante il fiume Anapo, dirimpetto al porto grande.
Del tempio rimangono oggi pochi resti, ma fino al tardo Settecento ne rimanevano erette otto grandi colonne monolitiche.
La realizzazione di questa importante opera molto al di fuori del perimetro murario greco, testimonia in qualche modo la “civilizzazione” del territorio e il passaggio, si direbbe psicologico, delle città dalla fase primitiva di insediamento legato allo scoglio d’Ortigia alla fase di grande città dotata di notevole vitalità e protesa con sempre maggiore determinazione espansiva verso il proprio entroterra.
Un altro punto di rilevante importanza urbanistica, dopo l’agorà, e sempre in Ortigia, era costituito dal primitivo tempio di Athena, sorto in un luogo già carico di memorie religiose, poco discosto dall’attuale Athenaion di Gelone.
Questo primitivo Athenaion, probabilmente realizzato nel VI secolo, si trovava nella zona dell’attuale cortile del palazzo arcivescovile e in parte ricadeva nell’attuale via Minerva.
Tutti questi templi arcaici (l’Olimpeion, l’Athenaion, l’Apollonion) oltre a precise peculiarità costruttive (ravvicinamento delle colonne, consistenza del loro spessore ecc.) erano altre caratteristiche comuni quali la copertura realizzata da travi e da assi di legno rivestite da lastre di terracotta sempre decorata a vivaci colori. Le stesse colonne e le trabeazioni realizzate in pietra locale (B. Brea) erano stuccate e dipinte.
Un altro tempio era vicino a questo primitivo Athenaion nella zona dell’attuale palazzo del Senato. Il tempio ionico – scrive Brea – la cui dedica rimane tuttora ignota, fu probabilmente, come quello che si conserva a breve distanza, un Athenaion, il secondo in ordine di tempo; è uno dei rari esempi di questo ordine conservato in Occidente e risale alla seconda metà del VI secolo, all’epoca in cui le forme d’arte microasiatiche stabilirono una koiné nel Mediterraneo. Sono superstiti i frammenti di un enorme capitello e la parte inferiore di una colonna, che ha la caratteristica di essere rivestita, fino a una certa altezza, da una fascia non scanalata, nella quale dovevano trovare posto dei bassorilievi, appunto come tal uni grandi tempi i dell’ Asia Minore. Il tempio, contemporaneo di santuari celebri come l’Heraion di Samo e l’Artemision di Efeso … non fu mai portato a termine.
L’estensione del quartiere di terraferma è con una certa facilità rilevabile dalla topografia delle due necropoli arcaiche, quella del Fusco, nei pressi dell’attuale cimitero, e quella detta del Giardino di Spagna, più recente della prima e ubicata nell’area oggi occupata dall’ospedale civile. Di recente, proprio entro il recinto dell’ospedale, sono venute fuori talune strutture di questa necropoli arcaica.
Sia Ortigia che Acradina erano circondate da mura, le stesse che molto più tardi, dal 416 al 413, sosterranno l’urto degli ateniesi guidati da Nicia.
Nel sesto secolo Acradina già cominciava ad avere un proprio sobborgo nella zona che sarebbe diventata in seguito il monumentale quartiere della Neapoli.
Il colle Temenite già allora venne coinvolto nelle vicende urbanistiche della città con due importanti costruzioni: il teatro lineare e il santuario di Apollo Temenite. Del primo non si sapeva nulla fino al 1965, anno del suo ritrovamento da parte del Gentili. Era realizzato un poco più ad ovest del teatro attuale e ne vennero rinvenuti diciassette gradoni in pietra. La loro proporzione li fa interpretare inequivocabilmente come sedili disposti in pendio molto ripido e separati verticalmente da due serie di gradini di metà altezza, veri Klimates, sul davanti è da supporre vi fosse un terrapieno fungente da orchestra. È dunque un teatro … e la sua struttura rettilinea rafforzerebbe l’ipotesi che la forma tipica del teatro derivi non da un cerchio, ma dalle gradinate rettilinee cretesi … questo teatro doveva essere certamente abbandonato nel III secolo, allorché una tomba venne scavata nella terrazza posteriore. (T. Fiori)
Poco discosto da questo arcaico teatro era il tempio di Apollo relativo a una più ampia area (Themenos) consacrata allo stesso dio. Poche sono le testimonianze che ci rimangono, essendo tutto stato smantellato per la messa in opera delle mura di fortificazione posteriori che ne attraversarono il sito. Nella parte di terraferma prospettante sul porto piccolo (verso sud) doveva già essere la darsena, più tardi sotto Gelone ritrasformata e ingrandita.
Già all’alba del quinto secolo era intanto sorto un nuovo quartiere, la Tyche, proteso sulla terraferma, e che verrà dotato di proprie mura.
Siracusa si apprestava a diventare una delle città più potenti del mondo greco preparandosi a ricevere da Gelone e la propria sistemazione urbanistica e il suggello alla propria nascente potenza.
Il periodo di Gelone (485-478 a. C.)
Tutto il “periodo arcaico” della storia siracusana culmina e si risolve in quella che può ben definirsi come l’età di Gelone; un breve periodo durante il quale, superata l’esperienza oligarchica, Siracusa diventa la città più grande e potente dell’intero mondo greco. Si capisce che la potenza di Siracusa non venne improvvisata da Gelone, ma fu lentamente preparata da una politica espansionistica bene impostata che fornirà al tiranno tutti gli strumenti di lavoro per il raggiungimento dell’egemonia in Sicilia e per il conseguimento dell’impero più vasto del mondo greco.
Urbanisticamente il periodo di Gelone è di grandissima rilevanza ed insieme ai più tardi periodi di Dionigi il Vecchio e di Ierone II creerà l’incancellabile volto della metropoli greca.
La carriera politica di Gelone inizia a Gela, città a quel tempo più forte della stessa Siracusa, ma soffocata, nel suo futuro sviluppo, dalla mancanza di un porto.
La futura metropoli, invece, era già lanciata in una politica di espansione marittima, possedeva una consistente flotta,e manteneva regolari rapporti commerciali con la madrepatria Corinto.
Nel confronto fra le due città, al tempo di Gelone, Gela (491-485) era comunque ancora più forte di Siracusa, sia militarmente che economicamente, ma fu geniale intuizione del tiranno quella di accorgersi della migliore posizione di Siracusa e delle sue enormi possibilità di sviluppo.
L’occasione di intervenire negli affari interni siracusani venne fornita a Gelone da uno dei tanti episodi di lotta di classe combattuti fra l’oligarchia terriera dei geomori, greci con pieni diritti politici, e la massa soggetta dei cilliri, popolazione siciliota avente la stessa posizione politica degli iloti spartani.
Scrive Erodoto che Gelone, facendo rientrare in patria i siracusani chiamati geomori, che erano stati scacciati dal popolo e dai loro schiavi, chiamati cilliri, fattili rientrare da Casmene a Siracusa occupò anche questa, poiché il popolo dei siracusani all’appressarsi di Gelone gli consegnò la città e se stesso.
Evidentemente, da parte di Gelone, la presa di potere di Siracusa doveva costituire la prima parte di un preciso piano strategico atto ad accrescerne a dismisura la potenza per farne la capitale di un vasto impero.
Tutte le attenzioni di Gelone furono quindi volte, subito dopo la presa del potere, a trasformare Siracusa, il futuro motore della propria gloria, in una grande città; tale scopo fu ben presto raggiunto usando il metodo di spostare forzatamente interi gruppi di popolazioni, da città soggette, a Siracusa che in tal modo estese enormemente il suo abitato.
E ben presto divenne grande e fiorente; da una parte infatti egli condusse a Siracusa tutti i Camarinesi e li fece cittadini … dall’altra oltre metà dei suoi concittadini di Gela li trattò come i Camarinesi; e dei Megaresi di Sicilia … il popolo grasso …. condusse a Siracusa. (Erodoto)
Pur considerando con le dovute cautele il racconto erodoteo (riconfermato però in questo punto da ogni altra fonte), resta il fatto che Siracusa, proprio sotto Gelone, conobbe una delle punte più alte della propria estensione (l’altra ed ancora maggiore l’avrà sotto Dionigi il Vecchio, con la differenza che mentre in questo momento la grandezza di Siracusa è proporzionata ad un territorio con il quale vive in un rapporto di equilibrio, ed è quindi dotata di espansione, la città di Dionigi è l’enorme testa di un ormai piccolo corpo; situazione tipica di una capitale immediatamente prima o durante i periodi di decadenza, come fu per Roma, per Bisanzio ecc.; in realtà se di età dell’oro della storia di Siracusa dobbiamo parlare essa fu quella di Gelone non quella di Dionigi).
Dobbiamo pensare che a quel tempo il quartiere della Tyche si fosse formato e che probabilmente fosse stato già delimitato, mentre in piena formazione era quello della Neapoli, che ricevette impulso e sviluppo nel tempo di Gelone.
La città veniva così a essere formata da quattro grandi quartieri, o città come li chiamavano gli antichi: Ortigia, Acradina, Tyche, Neapoli. È anche da pensare che sparsi insediamenti, non tanto consistenti però da fare pensare lontanamente a una urbanizzazione, cominciassero a stanziarsi nella zona più alta della città, quella che sotto Dionigi il Vecchio ne diverrà il quinto quartiere: Epipoli.
Sulla consistenza demografica della città e sulla sua grande ricchezza (globalmente considerata, come volume dei traffici, quantità di moneta, velocità di circolazione della stessa, stabilità politica, quantità dei prodotti agricoli disponibili ecc.) ci documenta indirettamente un passo di Erodoto, relativo a una ambasceria che la Grecia mandò al potente tiranno per riceverne aiuto durante le guerre persiane, iniziate nel 490 a.C. Ed allora quando gli ambasciatori dei greci giunsero a Siracusa, venuti a colloquio con lui. .. gli dicevano … “Ci hanno inviato gli Spartani [e gli Ateniesi] e i loro alleati per prenderti come alleato contro il barbaro; … sai che un uomo persiano, guidando tutte le forze dell’Oriente, si appresta dall’ Asia a marciare contro la Grecia, col pretesto di muovere contro Atene, ma in realtà con l’intenzione di ridurre in suo potere tutta la Grecia. E tu, dal momento che sei molto potente e governi la Sicilia, e possiedi una piccola parte della Grecia … soccorri i liberatori della Grecia e concorri con loro a liberarla.”
Da questo primo accenno, pur chiarissimo, alla grande potenza di Gelone si evincono due dati; il primo era che la potenza di Gelone lo avrebbe reso un prezioso alleato (se il trattato fosse stato concluso) nella guerra totale della Grecia contro la Persia.
Il secondo dato è che, nonostante la vera sfera di dominio di Gelone fosse la Sicilia orientale, l’ambasciatore lo dice reggitore dell’intera isola; infatti data l’alleanza di Gelone con il tiranno di Akragas, Terone, l’influenza di Siracusa si estendeva effettivamente per tutta l’isola ad eccezione naturalmente della zona controllata dai punici.
Più avanti del passo citato, Erodoto riferisce la risposta di Gelone agli ambasciatori e da essa traspare chiaramente la misura precisa della sua potenza e insieme la consistenza della popolazione di Siracusa e dei suoi possessi. Son pronto ad aiutarvi – risponde Gelone come riferito da Erodoto – fornendovi duemila triremi e ventimila opliti e duemila cavalieri e duemila arcieri e duemila frombolieri e duemila cavalleggeri, e frumento per tutto l’esercito dei greci fino a che avremo terminata la guerra.
Il Finley, a commento di questa notizia, scrive che le cifre relative all’esercito … potrebbero anche rappresentare un preciso elenco dell’ammontare delle forze a sua disposizione. Se è così esse starebbero a indicare una popolazione di Siracusa e dintorni che nessun’altra comunità siciliana avrebbe più eguagliata dalla conquista romana alle soglie dell’età moderna.
L’apogeo della potenza di Gelone, e con essa di Siracusa, si ebbe più tardi; nella guerra da lui combattuta contro i cartaginesi e culminata nella battaglia di Imera. Probabilmente preceduta da una serie di scontri isolati promossi dai greci avvenuti intorno al 483 e minaccianti le basi puniche dell’isola, Cartagine decise una grande spedizione in Sicilia nel 480, raccogliendo contingenti da ogni parte del proprio impero; vi parteciparono, oltre a una maggioranza di truppe del Nord-Africa, contingenti spagnoli, corsi, sardi; il comando della spedizione fu affidato al primo magistrato di Cartagine, Amilcare.
Nel 480 questo enorme corpo di spedizione venne schiacciato a Imera; scrive Erodoto che capitò che nello stesso giorno in Sicilia Gelone e Terone vinsero Amilcare cartaginese e a Salamina i greci vinsero il persiano. La coincidenza, sia pure approssimativa, delle due grandi battaglie suggerisce immagini di un Occidente greco vittorioso su di un attacco dell’Oriente avvenuto di concerto ad est, contro la madrepatria greca, e a ovest, contro la grecità di Sicilia; suggerisce immagini di una grecità uscita vittoriosa dallo scontro con la barbarie punico – persiana.
In effetti, comunque siano andate le cose, il fatto emergente è che l’elemento greco ad Oriente fermò definitivamente il pericolo persiano, mentre a Occidente l’elemento greco riuscì a fermare il più pericoloso dei tentativi di Cartagine rigettandolo indietro, pur senza riuscire ad eliminarne la presenza dall’isola, cosa questa che non riuscirà né ai successori di Gelone, né a Pirro, nel suo breve regno siciliano, ma soltanto ai romani.
In ricordo della vittoria, e finanziato dai ricchi bottini di guerra e dai tributi di Cartagine, Gelone diede il via a nuovi lavori di abbellimento di Siracusa.
Vicino al teatro, costruì il tempio di Demetra e Kore, testimoniando così l’ormai piena urbanizzazione della zona che già da allora andava connotandosi come il centro monumentale della Siracusa di terraferma.
Il sito doveva già essere importante comprendendo, come abbiamo visto, il santuario di Apollo ed il teatro lineare. Il fulcro di tutta questa zona era costituito dal nuovo teatro, scolpito nel colle Temenite, al quale – scrive l’Arias – preesisteva probabilmente una scena assai primitiva in legno … comunque il teatro, nei primi decenni del V secolo … era di forma trapezoidale, mentre il secondo teatro, dell’architetto Damocopo, che lo concepì assai probabilmente su suggerimenti tecnici di Eschilo, è databile fra il 476 e il 470. Questo teatro … era forse capace di contenere tre – quattromila spettatori, mentre quello semicircolare di età timoleontea [seconda metà del IV secolo] conteneva almeno seimilacinquecento spettatori. L’ampliamento maggiore avvenne sotto Ierone II, verso il 230 a.C… [il teatro] veniva così a contenere quindicimila spettatori.
La questione riguardante la genesi del teatro è però fra le più complesse e molte sono le teorie elaborate a sua spiegazione; Bernabò Brea, per esempio, pensa che il teatro attuale è opera di mirabile armonia architettonica, ed è nato certo in esecuzione di un piano unitariamente concepito. Scolpito nella viva roccia … là dove è possibile che già avesse trovato posto il teatro più antico, aveva quaranta ordini di sedili, divisi in nove cunei da scalette e un solo diazoma o ambulacro … la costruzione del teatro sarebbe da datare fra il 238 e il 217 a.C.
Ad Ortigia Gelone decise di realizzare il terzo Athenaion della città, che è quello stesso che ancora oggi si conserva, trasformato in età cristiana.
Il nuovo tempio, nel quale il marmo sostituì i precedenti materiali più deteriorabili, era di stile dorico, esastilo – periptero con 14 colonne sui due lati maggiori.
Per la costruzione del nuovo tempio venne demolito il primitivo Athenaion ubicato fra la via Minerva e il cortile dell’attuale arcivescovado, e del quale avanza solo qualche resto. Gelone, che ne iniziò la costruzione (più tardi terminata), ne volle fare il tempio più ricco dell’intera città. L’interno venne decorato con lavori di pittura eseguiti nel corso di vari secoli, riproducenti le gesta dei tiranni greci e massimamente di Agatocle; pare che questi dipinti fossero stati poi asportati da Verre.
Famose ne erano pure le porte delle quali Cicerone dice: lo posso asserire con coscienza netta … che porte più splendide e più squisitamente lavorate d’oro e d’argento, non sono mai esistite in alcun tempio.
Secondo la tradizione un grande scudo dorato si trovava al centro del frontone del tempio, già di per sé costruito sul luogo più alto d’Ortigia, posto in modo da potere essere osservato dai più lontani naviganti.
Nella sua politica di generale monumentalizzazione di Siracusa Gelone non dimenticò i santuari già esistenti e dotò riccamente il vecchio tempio di Apollo, sempre in Ortigia.
Ma il provvedimento più interessante, dal punto di vista urbanistico, della attività di Gelone fu la decisione di spostare l’agorà da Ortigia, ormai troppo piccola, e decentrata rispetto ai nuovi centri di più recente urbanizzazione, ad Acradina. La zona di questa nuova agorà dovrebbe essere quella ubicata fra l’attuale palazzo della provincia, la via Elorina, il Pantheon dei caduti.
La creazione di questa agorà, nel luogo dove probabilmente ne sussisteva una di minori dimensioni, testimonia della chiara coscienza unitaria che si cominciava ad avere di tutta la nuova città, il cui centro non poteva più essere Ortigia, sede delle più antiche memorie religiose, e più tardi dei tiranni, fortezza nella fortezza, quanto il più antico e centrale dei quartieri della terraferma: Acradina.
Un’altra grande costruzione dovuta a Gelone, anche se non interessante l’urbanistica di Siracusa, fu il monumento-mausoleo che egli fece costruire per se stesso e per la propria moglie Demarete. Il luogo prescelto per la costruzione fu vicino al grande e arcaico Olimpeion, fuori delle mura cittadine, ma in un territorio ormai totalmente grecizzato.
Si trattava di una grande costruzione a nove torri, intercalate da una breve cortina muraria.
Purtroppo le condizioni di sicurezza del periodo di Gelone ne consigliarono male il luogo prescelto per la realizzazione del mausoleo; di certo il tiranno riteneva definitiva la vittoria di Imera, e quindi sicuro il territorio siracusano. Non poteva prevedere che nel 396 gli stessi punici, guidati da Imilcione, arrivati sotto le mura di Siracusa demolissero proprio il suo mausoleo per ricavarne pietre già cavate e squadrate da utilizzare nella costruzione del proprio campo trincerato.
Alla morte di Gelone (478 a.C.) molte delle opere da lui iniziate dovevano essere ancora completate, e lo saranno sotto la dominazione del di lui fratello Ierone I (478-466).
Il quartiere di Acradina diventava il principale della città, il più grande, il più popolato, tutto ruotante intorno all’agorà, attraversato da grandi strade rettilinee, secondo il consueto modello greco. Al di sopra di Acradina era il quartiere della Tyche, così denominato dalla presenza di un tempio dedicato alla dea Fortuna. I suoi confini erano a est con Acradina, a nord con l’entroterra ancora privo di insediamenti urbani e sede di una vivace vita agricola (quindi territorio abitato), a ovest con il pianoro dell’Epipoli e a sud con la Neapoli. Anche in questo quartiere erano templi, ginnasio, torri, mura. Sulla collina il famoso Timbri, cantato da Teocrito, il cui rivolo dando acque purissime … [correva] a ristorare la stessa Tyche ed Acradina (P. Orsi)
La Neapoli, ormai vero e proprio grande quartiere, si estese inglobando il primitivo borgo Temenite. I suoi confini erano a nord con la Tyche, a ovest con Acradina, a sud-ovest con l’entroterra.
La presenza dei monumenti già ricordati (il tempio di Apollo, il teatro lineare, il teatro trapezoidale), tutti realizzati sul colle Temenite, coagulati intorno all’area sacra al dio Apollo, rendeva già questo quartiere il più monumentale della città. Questa linea di sviluppo sarà rispettata nei tempi seguenti che vedranno il proseguimento della monumentalizzazione della Neapoli (teatro, ara sacrificale, anfiteatro, arco trionfale).
Elio Tocco