Le Latomie erano cave di pietra, per lo più a cielo aperto di Siracusa, da Cicerone definita la più grande e bella di tutte le città greche.
Le Latomie sono distribuite all’interno della città antica, cosa che rendeva più agevole se non l’estrazione, certamente il trasporto del calcare cavato.
L’esistenza di queste immense e bellissime cave di pietra si tessa alla storia della città, e non soltanto perché, in negativo, ne rappresentano la grandiosità, ma anche perché particolari vicende storiche, la guerra fra Atene e Siracusa, le resero orride prigioni per i resti dello sconfitto esercito greco.
Il comandante ateniese Nicia avrebbe potuto salvare il suo esercito a Siracusa – scrive Polibio -. Egli aveva già scelto il momento della notte adatto per ritirarsi in un luogo sicuro all’insaputa dei nemici, quando sospese la partenza in seguito a un’eclissi di luna per paura che essa fosse di cattivo auspicio; la notte successiva, mentre tentava di allontanarsi con i suoi, cadde con gli altri comandanti e con tutto l’esercito nelle mani dei nemici che avevano avuto il tempo di conoscere il suo progetto..
La flotta, sbarrate le vie d’uscita, fu affrontata nel porto grande da quella siracusana. Tucidite racconta con tratti straordinariamente vivi le fasi della lotta; il popolo siracusano accorrente alle alture, nella cavea dello stesso teatro, a sostenere, a incitare; gli ateniesi rovinosamente sconfitti, le loro navi bruciate.
I resti dell’esercito greco furono raggiunti all’ Assinaros e quivi quasi del tutto eliminati. 7000 prigionieri di guerra furono rinchiusi nelle grandi Latomie e fatti morire
Tucidite, a questo proposito, ricorda :
In un primo tempo i Siracusani trattarono duramente quelli che erano nelle Latomie. Questi, in molti in un luogo cavo e ristretto, dapprima furono tormentati dal sole e dal caldo, essendo il luogo scoperto; sopravvennero in seguito, per contro, le notti autunnali fredde, Che provocarono le malattie. E poiché per la ristrettezza dello spazio essi facevano tutto nello stesso luogo, e per giunta si accumulavano gli uni sugli altri i cadaveri di coloro che morivano per le ferite, per i cambiamenti di temperatura e per cause dello stesso genere, il puzzo era intollerabile, ed erano tormentati dalla fame e dalla sete (intatti, distribuirono loro per un mese un cotile d’acqua e due cotili di grano). E di quanto poteva capitare a chi fosse gettato in un tal luogo, nulla fu loro risparmiato. Rimasero cosi ammassati circa settanta giorni: dopodiché, tranne alcuni Ateniesi e alcuni Siciliani e Italici che avevano combattuto con loro, tutti furono venduti. Non è facile dire esattamente quale fosse il numero totale dei prigionieri, ma certo non inferiore a 7.000
Le Latomie, per necessità di guerra, vennero enormemente ingrandite, da Dionigi, incalzato dal pericolo cartaginese.
Quasi subito dopo che Dionigi, sotto l’ondata di terrore scatenata dalla grande offensiva cartaginese, ebbe consolidato il proprio potere all’interno della città, iniziò una fase di grandi lavori che interessarono generalmente l’urbanistica di Siracusa imprimendole un volto nuovo.
In una prima fase del conflitto contro i cartaginesi Dionigi era già stato pesantemente sconfitto sotto le mura di Gela; l’avvenimento aveva provocato un moto di rivolta contro il tiranno; a Siracusa gli venne uccisa la moglie.
Riuscito a rientrare in città grazie all’appoggio di truppe rimaste fedeli, Dionigi concluse nel 405 una pace con il generale dei cartaginesi Imilcione, il cui campo era funestato da una pestilenza e che, come giustamente nota la Fiori, dovette constatare la difficoltà di porre l’assedio ad una città tanto estesa come Siracusa, con le poche forze delle quali disponeva.
Fu approfittando di questa insperata pace che Dionigi diede il via alla fortificazione di Siracusa. Anche in questa ciclopica opera di costruzione Dionigi si mostrò avveduto politico, dividendola in fasi opportune di crescita; nella prima egli si garantì, memore della recente e rovinosa rivolta, il potere in modo assoluto contro ogni nuovo tentativo insurrezionale della città; nella seconda fase garantì la città stessa dai suoi nemici, dei quali già da allora si prospettava la rivincita. Nel 404 Dionigi stabilì la propria sede definitiva in Ortigia, dalla quale cacciò gli abitanti e che popolò esclusivamente con la sua guardia del corpo e con i suoi funzionari.
Procedette quindi al suo afforzamento. Vi fece costruire una grande fortezza, sbarrante l’accesso all’isola e con il fronte volto verso Acradina. Vi realizzò anche un grande palazzo come propria residenza, lo stesso che, ricostruito da Ierone II, servì poi da residenza ai pretori romani.
Altre torri erano ivi, opera di Dionigi, ed ammiravansi portici e botteghe, ed Ortigia era insieme città forte, seggio di monarchi, luogo di traffici, ricovero di navi mercantili e da guerra. Eravi il tempio di Minerva, l’altro di Diana e quello di Giunone.(E. De Benedicts)
La seconda fase di lavori riguardò l’intera città. Di certo il ricordo delle tante difficoltà incontrate durante l’assedio ateniese (la parossistica corsa all’erezione dei muri, inseguentisi dall’Epipoli al mare), e la certezza che presto Siracusa avrebbe potuto provare un duro assedio di Cartagine, spinse Dionigi a concepire una cinta muraria avvolgente l’intero abitato e serrante in una vasta e poderosa cerchia difensiva tutti i suoi quartieri. Questa cinta, realizzata in brevissimo periodo, ebbe uno sviluppo di ventisette chilometri, il più vasto di tutta la storia antica, Roma compresa.
La cinta dionigiana venne anche a comprendere la collina sovrastante la città che non poteva lasciarsi assolutamente nelle mani degli eventuali nemici, e tutta questa vasta zona, l’Epipoli, costituì il quinto quartiere di Siracusa.
L’intera opera venne realizzata dal 402 al 397; la cerchia muraria era rafforzata da torri quadrangolari e una serie di piccoli forti ne guarniva i punti più deboli e salienti (Portella del Fusco). Una delle più importanti porte di accesso a Siracusa era in località Scala Greca ed era chiamata Exapylon. Le porte erano tutte sicuramente fortificate e provviste di mura di sbarramento. L’intera opera difensiva aveva due culmini: dal lato del mare nell’imprendibile Ortigia e sul margine dell’Epipoli nel più grande e perfetto castello dell’antichità: l’Eurialo.
Diodoro Siculo ci narra con dovizia di particolari come la costruzione di questa immensa opera e dello stesso Eurialo abbia mobilitato l’intera popolazione di Siracusa, perché venisse realizzata con la massima segretezza e nel più breve tempo possibile. Dalle Latomie vennero cavate cinque milioni di tonnellate di blocchi di calcare ed esse vennero allora ad assumere la vastità che oggi è osservabile.
Così Cicerone, molto tempo più tardi, descrive le Latomie Tutti voi avete sentito parlare, e la maggior parte conosce direttamente, le Latomie di Siracusa. Opera grandiosa, magnifica, dei re e dei tiranni, scavata interamente nella roccia ad opera di molti operai, fino a una straordinaria profondità. Non esiste né si può immaginare nulla di cosi chiuso da ogni parte e sicuro contro ogni tentativo di evasione: se si richiede un luogo pubblico di carcerazione, si ordina di condurre i prigionieri in queste Latomie anche dalle altre città della Sicilia.
La più grande fra le Latomia è quella detta del Paradiso Essa raggiunge in alcuni punti la profondità di 45 m, ed, in età antica, era parzialmente coperta.
Al suo interno, nel lato nord-ovest, si aprono alcune grotte, l’Orecchio di Dionigi, così battezzato da Michelangelo Merisi da Caravaggio che la visitò durante il suo viaggio a Siracusa, la grotta dei Cordari etc.
Una galleria mette in comunicazione la Latomia del Paradiso con la vicina Latomia dell’Intagliatella. Da quest’ultima si accede alla Latomia di S. Venera, ricca di vegetazione sub-tropicale Altre latomie si trovano a est della Neapolis. Si tratta della Latomia del Casale , anch’essa utilizzata per la costruzione della Neapolis.
Ancora più verso est, è l’altro grande e straordinariamente bel complesso, noto col nome di Latomia dei Cappuccini. Questa Latomia, paesaggisticamente la più bella, va collegata con il quartiere di Tycha . Molto più lontana, all’estremità occidentale delle Epipole, è la piccola Latomia del Bufalaro, probabilmente sfruttata per la costruzione delle mura di Dionigi e del Castello Eurialo
Elio Tocco