Ortigia dal primo Ottocento agli anni Quaranta
La grande decadenza urbana di Siracusa, ormai stabilizzatasi su valori minimi di popolazione e di estensione, si protrasse per tutta l’ultima parte del sec. XVIII e buona parte dell’Ottocento; mentre, però, il periodo barocco aveva lasciato tutto un vasto patrimonio edilizio partorito da un gusto preciso e caratterizzante il volto dell’intera città, il secolo XIX fu marcato da un carattere eminentemente distruttivo.
Il secolare volto di Ortigia, caratterizzato dalle sue stratificazioni culturali quasi tutte rivestite da forme barocche, i grandi palazzi ricadenti sulle strette viuzze medievali sia pure attraverso varie rielaborazioni, aveva mantenuto intatto il proprio equilibrio urbanistico dove ogni elemento continuava a giocare lo stesso ruolo.
La violazione di questo complesso equilibrio ambientale cominciò proprio nell’Ottocento, con l’inserzione nel tessuto viario ed edilizio della città di elementi “estranei”, e prosegue senza soluzioni di continuità fino ad oggi.
Ripetiamo che per violazione urbanistica intendiamo un intervento di vasta portata, e non meditato, alterante l’equilibrio dei diversi fattori costituenti una zona urbana e quindi, per un inevitabile processo a catena, dell’intera isola.
I lavori che maggiormente interessarono, distruttivamente, l’edilizia d’Ortigia e il suo legame con l’ambiente furono costituiti, prima ancora dell’unità italiana, dall’ apertura della piazza Archimede.
Fino a quel momento l’unica piazza d’Ortigia era quella di forma irregolare e urbanisticamente magnifica che stava dinnanzi alla Cattedrale.
A poca distanza dall’antica piazza, nel cuore stesso d’Ortigia, in un quartiere che doveva avere connotati prevalentemente catalani (anche se già il palazzo Corvaja era stato rivestito da forme barocche; le sue strutture quattrocentesche vennero fuori durante la demolizione), nell’area già occupata dalla chiesa dei Teatini, riflesso di cultura borrominiana, venne ricavato un “buco” quadrato al quale si diede nome di piazza Archimede. Il “buco” fu poi, in periodo fascista, circondato da costruzioni la cui bruttezza è solo pari all’insensatezza dell’intervento ottocentesco.
Unici palazzi lasciati ancora intatti in tanto squallore furono il palazzo Lanza, dalle belle bifore catalane, il palazzo Corvaja (demolito solo nel 1941) e in certo modo il palazzo Banca d’Italia, il cui cortile conserva ancora oggi quel piccolo poemetto catalano che è l’interno quattrocentesco.
Accanto a questo intervento, eminentemente distruttivo, fu invece realizzato un innesto non del tutto infelice con la costruzione, nella piazza della Cattedrale, del nuovo Museo archeologico, ricavato nell’area già occupata dal convento dei Fatebenefratelli, nel 1866. Questo innesto, si diceva, non fu infelice, perché nonostante la distruzione del convento del quale non conosciamo esattamente le forme, la nuova costruzione si inserì organicamente nella dimensione urbana della piazza senza alterarne l’equilibrio, semplicemente sostituendo un elemento all’altro. Ancora oggi, infatti, questo ambiente è di gran lunga il meglio conservato e il più importante, dal punto di vista urbanistico- monumentale, dell’intera Ortigia.
Nel 1862 si provvide alla risistemazione della fonte Aretusa, che venne rinchiusa nell’attuale bacino, distruggendo l’originale sua collocazione che probabilmente era più suggestiva.
Nello stesso anno, 1862, la popolazione di Siracusa ascendeva a 19.930 abitanti. Nel periodo post-unitario, un poco in tutte le città siciliane si procedette “a rullo compressore” nella demolizione delle antiche opere fortificate, delle mura, dei bastioni spagnoli.
L’indiscriminata distruzione provocò, a Palermo e a Siracusa, la scomparsa di una originale cinta muraria della quale con tutta agevolezza larghi brani potevano essere mantenuti. Scrive Tommaso Gargallo di Castel Lentini: Questa stessa mentalità aveva segnato il destino delle fortificazioni. Eppure non sarebbe stato impossibile aggirarle; tutt’al più demolire, se era proprio necessario, qualche cortina ad est, e praticare un secondo ponte dove oggi se ne è aperto uno, lasciando quello centrale, e la porta maestosa, come passaggio pedonale … la piazza di Siracusa aveva un fronte a terra che era uno dei capolavori militari dei vecchi tempi. Innestate sui muri medievali, di cui sopravvive … la fiera grazia di porta Marina, i nuovi bastioni rappresentano il barocco in ogni sua fase; da quando sbocciò nel tardo rinascimento … a quando si affievolì nei leziosismi e nelle raffinatezze settecentesche.
Nel 1901 Siracusa, dai 19.930 abitanti del 1862, raggiunse i 31.807 abitanti.
Si ricominciò, in qualche modo, a studiarne il grande passato urbanistico e il patrimonio monumentale; in una parola si cominciò a prendere “coscienza” della città. Nel 1909 si scaverà sulla spianata del Duomo; nel 1912 si scaverà intorno ai resti del tempio di Apollo, le cui tracce e strutture superstiti vennero fuori durante la demolizione del forte spagnolo.
Nel 1931 Siracusa conta 41.480 abitanti. L’insediamento urbano ormai non interessa più la solita Ortigia ma vi sono abitazioni che ripopolano parzialmente la bassa Acradina (la zona dell’attuale corso Umberto fino alla piazza S. Lucia).
Finalmente, nel 1936 si ebbe l’intervento urbanisticamente più distruttivo, il più avulso da ogni contenuto culturale, che ricucì insieme gli errori urbanistici più macroscopici dell’Ottocento: il rettifilo (l’attuale via Umberto, ricavata dalla distruzione del sistema di canali di drenaggio del porto piccolo) e la piazza Archimede. Il parto di tanto travaglio e cordone ombelicale fra l’opera di distruzione dei forti spagnoli e della Chiesa dei Teatini, fu l’obbrobriosa via del Littorio, degna figlia di tanto padre.
Si tagliò nel vivo del tessuto edilizio d’Ortigia, alterandone definitivamente, e in modo dinamico, il volto secolare, in una violenta, anche se non inusitata, aggressione alla storia ed al passato. Non inusitata, si diceva ché anche Palermo fu interessata dall’apertura di una via (la via Roma, 1824-1924) che travolgendo ogni cosa sul proprio cammino, segnò una diritta riga di squallore nel vivo di un unicum urbanistico il cui valore andò totalmente smarrito.
A Siracusa, sui margini della larga via rettilinea si appollaiarono presto larve architettoniche pregne di un provincialismo becero e profondamente incolto.
A proposito dell’apertura della via del Littorio si parlava di distruzione dotata di dinamismo; occorre rilevare, infatti, che l’apertura del “buco” quadrato di piazza Archimede fu sì un intervento distruttivo, ma non se ne tirò altri appresso in quanto isolato nella propria stessa area. L’apertura, invece, di una larga via come quella del Littorio (oggi via Matteotti) fu non solo una distruzione lineare di vasta portata ma, consentendo il massiccio afflusso di traffico fin nel cuore d’Ortigia, creò le premesse per la totale distruzione dell’ambiente medievale dell’isola, compromettendone l’equilibrio ambientale, svisando l’antica razionalità dell’insediamento urbano originario, rendendo mefitiche di gas di scarico le viuzze, impossibili da percorrere i vicoli; in una parola definitivamente alterando quello che originariamente era stato concepito come “spazio abitato”.
Il ronco era uno spazio sociale nel quale si immergevano gli spazi privati delle abitazioni; così la stretta viuzza è relativa a un “tipo” di insediamento dove la casa e la strada vivono insieme della stessa visione urbanistica.
Il traffico autoveicolare, scaraventato dentro Ortigia dall’arteria della via Matteotti, ha in realtà procurato molte più distruzioni di quanto generalmente si possa pensare, eliminando quel primo e fondamentale aspetto d’Ortigia che era la sua caratteristica e insieme il suo stile di vita. Si ripeterà: il veicolo principale di questo inquinamento è stato proprio il corso Matteotti; inquinamento dinamico in quanto non si è limitato a schiacciare una presenza urbana lungo il proprio tracciato, ma in quanto ha procurato molte altre distruzioni nella sua proiezione urbanistica.
Per quello che riguarda le demolizioni di preesistenti architetture, la dimessità del tono culturale di Siracusa non ci ha lasciato la possibilità di leggerne degli elenchi e quindi di potercene fare un’idea precisa.
La ripresa demografica di Siracusa, e insieme la nuova attività costruttiva che ne proietterà l’edilizia nel cuore delle zone dei quartieri greci di terraferma, è ascrivibile agli ultimi venticinque anni, quando i nuovi insediamenti industriali portarono a una intensa urbanizzazione. Già nel 1951 Siracusa contava 71.016 abitanti. Il risultato ultimo della grande espansione edilizia di Siracusa ha sortito un risultato che immediatamente ci interessa, e cioè che mentre nelle epoche fin qui esaminate le distruzioni hanno avuto per teatro la sola Ortigia, adesso la ventata di demolizioni ha investito l’intera area della già gloriosa “Pentapoli”.
Elio Tocco