24 – Santa Lucia extra moenia

Le vicende architettoniche della chiesa di S. Lucia in Siracusa furono estremamente complesse e dopo la sua fondazione (con probabilità, come sostiene l’Agnello, avvenuta in periodo bizantino) passano per quattro distinti periodi di rielaborazione per culminare infine nella scadenza fatale del dicembre 1970, data del tragico crollo di una parte dell’opera settecentesca determinante la morte di due persone.

Diamo qui di seguito una breve sinossi cronologica delle fasi architettoniche della chiesa, per passare poi a una breve illustrazione delle sue principali vicende.

VI secolo

In questo periodo la chiesa, giusta una lettera di san Gregorio Magno, si presume già fondata.

1115

In questo anno, secondo il Pirro, sono da ascriversi i lavori di rifacimento normanni.

1296-1337

Entro queste due date avvennero importanti lavori di ristrutturazione. (Rosone; soffitto della navata centrale ecc.)

1600-1630

Probabilmente eseguiti su disegno di Giovanni Vermexio in questo periodo sono databili lavori di ammodernamento della chiesa.

Dopo il 1693

Vennero eseguiti grandi lavori di consolidamento e di ristrutturazione imposti dai danni provocati dal terremoto del 1693 e culminanti nella impostazione e parziale realizzazione, da parte di P. Picherali, di un ordine architettonico (fermatosi alla sua prima elevazione) avente la funzione di avvolgere le antiche fabbriche entro  un arioso porticato.

1945-1950

Lavori di restauro liberanti le absidi bizantine.

16 dicembre 1970

Crollo dell’opera settecentesca; chiusura al culto della chiesa.

1974

Inizio dei lavori di ricostruzione del porticato crollato.

2006

Dopo una rovente polemica, inutilmente sostenuta da intellettuali italiani, il Seppellimento  di S. Lucia del Caravaggio, dopo 36 anni, ritorna ad essere esposto nella chiesa di S. Lucia extra moenia.

Il problema delle origini

Da una lettera di San Gregorio abbiamo con certezza la notizia che già nel VI secolo esisteva, nel luogo dell’odierna chiesa, una notevole comunità, raccolta intorno a un convento, al quale era evidentemente annessa una chiesa; quali le sue forme, pianta e consistenza non ci è dato di sapere.

Dopo questa notizia il calendario relativo alla nostra chiesa si ferma e ricomincia a scorrere solo dopo la ripresa del culto operata dai normanni; anche in questo caso non molto ci è dato di sapere sulla reale entità di questi lavori, né sappiamo se si trattò di una ristrutturazione o di una vera e propria ricostruzione.

La pianta conforterebbe però quest’ultima ipotesi in quanto presenta la tipica ricorrenza dello schema basilicale coronato da absidi di diverse proporzioni, tanto ricorrente durante il periodo normanno. Tipicamente normanna è anche l’impostazione della torre campanaria, in aggetto sulla linea della facciata ed alla quale, con tutta probabilità, ne doveva seguire un’altra, nel lato sud, forse mai realizzata.

L’Agnello afferma che le tre absidi della chiesa possono con sicurezza essere ascritte al periodo bizantino, dimostrando la stranezza della loro nuda struttura muraria in confronto alla ricchezza, talvolta straordinaria, degli  apparati murari absidali delle chiese normanne.

Lo stesso schema di pianta, a tre navi, sempre secondo l’Agnello, potrebbe ascriversi al periodo bizantino, data la ricorrenza in quel tempo di questo impianto (tempio di Athena). Si potrebbe certo osservare che gli argomenti proposti a favore della tesi bizantina non sono poi così probanti e definitivi.

Per quello che riguarda la testimonianza fornita dalla lettera di Gregorio Magno nulla vieta di pensare che in quel posto, o nelle immediate vicinanze, vi sia stato il convento di cui parla con l’annessa chiesa, ma nulla ci impone di ritenere che si tratti della stessa chiesa, o di parti di essa, che sopravvivono nell’odierna costruzione.

Per quello che riguarda l’argomento dell’Agnello si può dire che se le absidi sono bizantine, la struttura generale della costruzione doveva ricalcare con grande approssimazione quella presente, è quindi da ritenere che anche altre parti dell’edificio possano essere di periodo bizantino (vale a dire che se si accoglie la tesi delle absidi bizantine si deve ritenere bizantina molta parte della stessa chiesa, riducendo quindi gli apporti posteriori alla decorazione che però, in atto, manca); per quello che riguarda infine l’osservazione vera e propria della struttura e decorazione delle absidi ( troppo nude, secondo l’Agnello, per essere normanne), si potrebbe notare che la povertà del materiale presente in loco avrebbe potuto ben suggerire di realizzare un abside non decorata.

In fondo in pieno secolo XIV, quando a Palermo le finestre di palazzo Chiaramonte erano tutto un merletto di pietra dove il contrappunto coloristico faceva da contorno alla squisita fattura della bifore, in Siracusa non si realizzò mai nulla del genere, sia per la mancanza del materiale adatto, sia per l’assenza di importanti cantieri di lavoro.

Le absidi, di recente liberate da alcune costruzioni posteriori, mostrano oggi la nudità del loro apparato murario, sebbene l’inconsulto innalzamento del piano stradale ne abbia dimezzato lo slancio.

D’altro canto l’enorme ammassamento di terra di riporto in una zona interessata dalla presenza delle escavazioni sotterranee relative alle catacombe di S. Lucia ha provocato il lesionamento di molte volte ipogeiche e se di ignoti architetti costruttori della chiesa si preoccupavano di sostenere le volte delle catacombe con la messa in opera di robusti pilastri, all’accumulo delle grandi quantità di terra di cui si è detto, non è seguita alcuna opera di consolidamento delle sottostanti volte ipogeiche.

I lavori aragonesi e i rifacimenti barocchi

Il prospetto, insieme con le absidi, è la parte più sicuramente medievale della chiesa; le fiancate, infatti, realizzate con muratura a pezzame e all’interno ricoperte da stucchi, non sono assolutamente leggibili con sufficiente chiarezza.

Nel prospetto il portale, nonostante i cattivi rifacimenti, si può con sicurezza ascrivere al periodo normanno, mentre il grande rosone soprastante risale al rifacimento aragonese.

Questo rosone dovette con certezza prendere il posto di uno più antico o essere allogato in situ qualche secolo dopo la sua progettazione. È infatti chiaro che la massa muraria compresa fra la sommità del portale e la copertura doveva presentare un’apertura che non poteva essere altro che un rosone.

lI rosone, che misura un diametro di circa tre metri, è eseguito in pietra calcarea, ad eccezione delle colonnine di raccordo che sono di marmo. Il loro esame ci dà conferma che si tratta di materiale riutilizzato… la decorazione è di sapore romanico… un tale frammentarismo attesta che nel riadattamento trecentesco, il materiale del vecchio rosone fu messo a profitto con semplici criteri di pratico sfruttamento ( Agnello).

Ad ogni modo è solo nel rosone che può ravvedersi il residuo dei lavori trecenteschi connotati, come si è visto, da criteri di moderno riadattamento. È probabile che a questo periodo di lavori appartenga anche il soffitto a capriate.

Rifacimenti radicali che andarono ben oltre i modesti apporti del secolo quattordicesimo furono avviati nella chiesa dopo il terremoto del 1693 ed ebbero il doppio intento di restaurare le vecchie fabbriche non distrutte e di adeguarne la struttura al gusto dell’epoca.

Si misero in opera, nell’interno, un manto di atoni stucchi che ne cancellarono ogni antica traccia muraria.

All’esterno si progettò la realizzazione di un ordine architettonico strutturato su un doppio colonnato, che avrebbe dovuto avvolgere da ogni lato la chiesa, nulla più lasciandone emergere.

Questo plastico involucro, probabilmente opera di Pompeo Picherali, non fu mai completato e si limitò ad avvolgere la chiesa con un solo ordine di porticato nella fiancata sud e nel prospetto.

Il crollo dell’opera settecentesca

Alle ore 10,25 di mercoledì 16 dicembre 1970, il porticato settecentesco della chiesa è improvvisamente crollato, travolgendo cinque persone ed uccidendone due: due madri di famiglia delle quali una (Paolina Breanti di 32 anni, madre di tre figli) stava per caso passandovi sotto, mentre l’altra (Paola Triglia Capodicasa di 63 anni, madre di due figlie) proprio sotto il porticato stava parcheggiando la propria auto. Tre operai che stavano lavorando sull’impalcatura eretta intorno al porticato venivano invece estratti ancora vivi dalle macerie.( da un quotidiano locale)

I lavori che erano stati avviati da poco tempo, e che interessavano proprio la parte di architettura che crollò, avevano lo scopo di rinforzare l’opera settecentesca che, evidentemente, aveva dato chiari segni di pericolosità. La direzione dei lavori era stata affidata a un restauratore reduce dalla Persia dove fino ad allora aveva lavorato.

Al momento del crollo la chiesa era affollata. La gente vi era accorsa per la tradizionale funzione in onore di S. Lucia, il cui simulacro si trovava all’interno della chiesa portatovi in processione dalla cattedrale. La sera prima, sempre in occasione della processione e dell’arrivo del ferculo nella chiesa, la piazza era affollatissima e il crollo si sarebbe risolto in un’ ecatombe. Il giorno 11 gennaio 1970 la procura della Repubblica di Siracusa emise mandato di cattura nei confronti del restauratore, Aldo De Pede, ferito lui stesso nel crollo.

Fin qui la cronaca. E le considerazioni e i commenti sono fra le sue righe.

Nessun edificio crolla di un sol colpo, ma dà sempre chiari ed inequivoci segni premonitori. E la fatiscenza dell’intero edificio chiesastico ne era, nella fattispecie, un chiaro segno. Ma si volle restare ciechi di fronte all’evidenza delle cose, imponendo la solita tradizionale festa, dimenticando le più elementari norme di sicurezza.

Da anni, insieme ad altri studiosi, andavamo preconizzando la rovina della Zisa, che è, appunto, crollata. Da anni non si fa che ripetere: “attenzione, le vecchie pietre possono caderci a dosso” ( è questo il titolo di un articolo di G. Quatriglio e di M. G. Paolini nel 1970); ma, sempre, l’unico provvedimento viene dopo il crollo e consiste nel transennamento della macerie e nel puntellamento di ciò che rimane del monumento.

Nella stessa Siracusa l’antico e nobile palazzo Montalto, si trova da anni in condizioni di estremo pericolo; ma se dovesse crollare anche allora si direbbe “ improvvisamente”.

Oggi tutto l’involucro architettonico è stato ricostruito, ed a quell’ormai lontano 16 dicembre di 18 anni fa nessuno più pensa.

Elio Tocco

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