Il Cinquecento
Lineamenti generali
Tutto il secolo XVI è dominato dalla lotta fra l’impero spagnolo e l’impero turco, guerreggiata sul mare Mediterraneo.
L’esito di questo scontro, già al suo cominciare, fu esiziale per la Sicilia; l’isola doveva, nelle epoche passate, la propria prosperità ai commerci con il Nord-Africa; esportazioni di grani, importazione di valuta pregiata.
Il periodo arabo, normanno e svevo, vissero di questo commercio. Ma durante la dominazione spagnola la cattolicissima nazione non poteva non trascinare la Sicilia, e in genere tutte le proprie colonie, nel baratro nel quale essa stessa si stava precipitando, mossa da una diabolica volontà suicida, fanatica, militarista.
Durante tutto il Cinquecento la disgraziata Sicilia si vedrà costantemente rapinata dalla Spagna di quasi tutto il reddito prodotto, per finanziare campagne militari con le quali l’isola non aveva nulla a che vedere e che, sovente, si traducevano in grossi disastri.
Basti pensare alla sconfitta navale di Gerba del 1560, quando i turchi affondarono circa venti galee siciliane, o al disastro del 1588 quando molte altre galee siciliane, di tutto punto armate, procurate con estrema difficoltà, vennero travolte nell’impresa dell’ Invincibile Armada.
In più l’isola dovette fornire stanza a più di settemila soldati spagnoli i quali, spesso non pagati, si abbandonavano a violenze e saccheggi. Onere pesantissimo, che naturalmente venne addebitato alla Sicilia, fu il mantenimento della fortezza di Goletta, che risultò poi inutile nell’economia generale della guerra ai turchi.
La stessa lotta globale contro l’impero turco, alleato dei francesi, fu condotta senza l’appoggio di una chiara visione politica del problema, senza tentativi di mediazione diplomatica, e chiedendo che lo sforzo principale, se non unico, dovesse poggiare sull’esausta Sicilia.
In più, ad ogni recrudescenza della lotta armata le coste dell’isola dovevano sopportare rovinose incursioni barbaresche che ne condizionarono l’esistenza. Molti villaggi furono abbandonati; campagne vaste e vicine alla costa non vennero più coltivate; si impose infine tutta una vasta opera di fortificazione dei porti e delle città che venne a costare (ai siciliani) cifre enormi.
Il piano di incastellamento e di generale fortificazione delle città siciliane fu iniziato da Gonzalo de Cordova ma trovò la sua realizzazione sotto la reggenza del viceré Ferdinando Gonzaga.
In quel tempo venne ingaggiato uno dei più noti architetti militari dell’epoca, Ferramolino da Bergamo; e venne pianificata una serie di lavori interessanti principalmente le città della costa orientale della Sicilia e, naturalmente, Palermo. All’ 11 aprile 1537 fece Don Ferrante le sue proposte. Minacciandosi una invasione turca della Sicilia … e non potendo l’imperatore da solo ottenere tutte le spese occorrenti alla difesa, era necessario che il Parlamento non solo facesse il solito donativo dei 300.000 fiorini, ma offrisse altresì una somma per il mantenimento dei soldati… Proporre … che, come si erano dati una volta 100.000 fiorini per fortificare Siracusa, Milazzo e Trapani, se ne dessero altrettanti per mandare a termine quei lavori. .. Furono concessi i 300.000 fiorini di donativo ordinario … e inoltre 100.000 fiorini da erogarsi nel termine di cinque anni, esclusivamente per opere di fortificazione. ( G. Capasso)
Purtroppo il sistema della fortificazione di Siracusa, cioè d’Ortigia, fu realizzato operando in massima parte la distruzione dei grandi monumenti greci che il tempo aveva risparmiato e che vennero utilizzati come cave di pietra.
Venne completamente distrutta la ancora intatta scena del teatro greco; non si trattava più dell’antica scena greca ma di quella ricostruita in periodo romano; sempre nel teatro greco gli ordini superiori delle gradinate, realizzati in muratura, vennero demoliti.
Uguale sorte toccò alle parti realizzate in blocchi di calcare dell’anfiteatro romano, che altrimenti, data la possanza della sua struttura, ci sarebbe arrivato del tutto integro. L’ara di Ierone venne smantellata, e ne fu lasciato il solo basamento.
In pratica si lasciarono intatte solo quelle parti dei monumenti greco-romani scolpite nella roccia; il resto lo si asportò.
In più, nel corso delle opere di fortificazione, venne distrutto quasi tutto il tempio di Apollo: ogni blocco di pietra venne asportato e messo in opera nelle nuove mura d’ Ortigia.
Di contro vi è da osservare che le opere di ingegneria militare se in sé furono notevoli, non ebbero mai alcuna vera funzione e ben presto nemmeno una guarnigione le presidiò. Brydone osserverà che queste cose non debbono fare meraviglia quando di mezzo vi è il re di Spagna, ed aveva ragione.
Il piano generale di fortificazione della città realizzò due zone chiave tattiche ai due punti estremi d’ Ortigia, e tutta una muraglia, scandita da grandi bastioni che la recingevano da ogni lato. Le due grandi fortezze vennero realizzate una all’imboccatura dell’isola e l’altra venne ad essere innestata sulle preesistenti strutture del castello Maniace.
La prima era una grande fortezza completamente isolata e dalla terraferma e dall’isola attraverso una ingegnosa serie di canali. In tal modo questa vasta fortezza veniva ad assumere un ruolo autonomo nella difesa dell’isola ed, eventualmente, caduta questa, poteva continuare a resistere. Dalla parte di terraferma avevamo una prima opera fortificata o controscarpa, poi un primo canale, indi una nuova zona fortificata detta opera coronata, avente la funzione di rivellino. Un nuovo canale separava questa opera dalla fortezza vera e propria che protendeva dal lato di terra i due suoi grandi bastioni, il S. Michele e il Campana. Dalla parte dell’isola vene realizzato un nuovo canale, di andamento irregolare, tagliato in mezzo da un rivellino avanzato e quindi le mura cittadine vere e proprie.
Nella zona del castello Maniace si procedette a una fortificazione analoga.
Il castello svevo venne conservato all’interno delle nuove opere e ne assunse il ruolo di mastio.
Tutt’intorno fu realizzata una muraglia, di linea più bassa che non quella delle mura sveve. Fra l’opera fortificata e il retroterra si scavò un fossato che in tal modo venne ad isolarne le fabbriche dal resto d’Ortigia.
Le muraglie spagnole furono poi rimaneggiate fino ad assumere quella forma che oggi si nota, intervallate dalle grandi cannoniere, protese fin sulla punta dello scoglio.
Ritornando all’ingresso d’Ortigia, piantati nell’isola, di rimpetto alla grande fortezza, che ripetiamo stava a mezzo fra questa e la terraferma, stavano due grandi bastioni la cui spigolatura è rimasta ancora a segnare la topografia del luogo anche dopo la loro demolizione (le odierne riviere Garibaldi e della Posta).
I due bastioni venivano chiamati rispettivamente di S. Filippo e di S. Lucia. Dal baluardo di S. Lucia si partiva un sistema assai complesso di opere, in quanto avvenuto in più stratificazioni di fortificazioni, comprendente (dal lato dell’odierno Foro Italico) una bassa e massiccia costruzione atta ad ospitare una batteria di cannoni e la porta Marina, splendido relitto delle fortificazioni catalane. Fra la linea delle mura, ancora oggi chiaramente visibile, e il mare era una zona destinata al passeggio, la stessa che oggi, con il nome di Foro Italico, conduceva,fino a pochi anni addietro, alla Capitaneria di Porto.
Questo muro andava a terminare nel bastione detto della Fontana che era nella zona compresa fra la odierna Capitaneria di porto e lo sbocco a mare della fonte Aretusa. Occorrerà dire che tutti i bastioni dei quali era munita Ortigia non erano grandi, ad eccezione dei primi due, di S. Lucia e di S. Filippo, grandissimi e di bell’architettura.
Dal bastione della Fontana il muro fortificato correva fino al rivellino prospiciente il castello Maniace per continuare nell’altra sponda dell’isola, e ricongiungersi al bastione di S. Filippo, afforzato dai baluardi della Cannamela (nello spazio proteso verso il mare oggi compreso fra lo sbocco della via Privitera e l’inizio della via Nizza), della Ferraria (nella zona dove la via Vigliena termina sulla passeggiata a mare), della Gradiglia (dove è il largo S. Giovannello). Questi ultimi due bastioni si chiamarono in seguito forte di S. Giovannello e forte Vigliena.
Fra i due bastioni di S. Lucia e di S. Filippo, dalla parte dell’isola era ricavata la magnifica porta reale, demolita nell’Ottocento.
Questo sistema di fortificazioni venne rimaneggiato più tardi, conseguentemente al progresso della tecnica delle artiglierie; ma nella struttura generale esse non cambiarono fino al secolo XIX quando fra demolizioni, innalzamenti del piano stradale, arrangiamenti di ogni tipo, tutta questa vasta opera che deve ritenersi uno dei capolavori dell’ingegneria militare dell’epoca, venne del tutto a scomparire.
Elio Tocco