Il periodo barocco
Cronologia della realizzazione dei maggiori edifici e degli interventi urbanistici
realizzati nei secoli XVII e XVIII
1600 ca. Collegio gesuitico. Chiesa dei Cappuccini. Palazzo Vitale. Rifacimenti della chiesa del Carmine.
1607 Costruzione del baluardo Vigliena.
1618 Giovanni Torres, vescovo spagnolo di Siracusa, sul posto prima occupato da un edificio duecentesco, ordina la costruzione del palazzo arcivescovile.
1618 Il castello Maniace prende il nome di castello di S. Giacomo di Maniace. I quattro torrioni angolari prendono il nome di S. Pietro, S. Caterina, S. Filippo, S. Lucia.
1619 Chiesa di S. Benedetto (A. Vermexio).
1622 Chiesa di Montevergini.
1628 G. Vermexio ricostruisce il palazzo Corvaja (demolito nel 1941).
1629-1631 G. Vermexio costruisce la chiesa del sepolcro di S. Lucia.
1629-1633 G. Vermexio realizza il palazzo del Senato.
1635-1687 Su disegno di Giacomo della Porta si realizza la chiesa del Collegio.
1650-1653 Dentro la cattedrale viene realizzata la cappella del Sacramento
1652 Chiesa di S. Maria
1652 Chiesa di S. Filippo Neri.
1659 Tribuna ed altare maggiore della cattedrale.
1676 Il viceré di Ligny dà un nuovo impulso ai lavori relativi alla costruzione del bastione del castello prospettante sul mare.
1673 Il Nurembergh si stanzia a Siracusa per eseguire alcuni lavori. Sovrintende alla costruzione complessiva delle fortificazioni e sotto di lui, secondo Fazello, furono cavati i fossi che comunicavano con le acque dell’uno e dell’altro porto, a spese dell’università, per cui si erogarono ottomila scudi”; secondo il Privitera, sempre al Nurembergh si deve “la costruzione di ponti di legno sui fossi con i relativi levatoi alle porte, si tagliò il resto dell’istmo che ancora congiungeva la città alla terraferma. Da allora gli abitanti cominciarono ad entrare ed uscire per le nuove porte e per i ponti, che una volta alzati, rendevano Ortigia una perfetta isola e dalla parte di terra inaccessibile.
1676 Viene fabbricato il baluardo a punta di Diamante.
1679 In seguito al “giro di vite” che la Spagna decide di avviare in Sicilia per garantire il proprio governo contro rivoluzioni delle quali nel 1674 si era avuto a Messina un classico esempio, Siracusa viene dichiarata piazza d’armi. Comanda la città un governatore militare insediato nel castello Maniace. La cittadinanza viene assoggettata alla brutalità delle servitù militari. In quell’anno tutta la Sicilia è accasermata dentro il fantasma del potere spagnolo. La militarizzazione dell’isola è completa. Le enormi spese, i cui costi furono sostenuti dalle esangui finanze locali, delle fortificazioni inutili contro nemici esterni, furono in realtà investite per garantire alla Spagna il potere locale. Siracusa, come Augusta, come Messina, per restare nella Sicilia orientale, sono delle caserme abitate da popolazione civile. Da questo punto di vista l’opera di fortificazione progressiva ebbe uno scopo precipuamente politico, quasi mai militare.
1693 Auunnici di jnnaru a vintun ‘ura (tre ore prima del tramonto del sole) accompagnato da mugghio spaventevole di agitato mare e da terribile fragore, un ripercotimento orrendissimo fé traballar la terra in guisa che in pochi istanti gran parte della città ne fu distrutta, il resto sconquassata e rotta. (S. Privitera).
Scrive Lucia Trigilia che i contributi di storia del barocco siciliano, non hanno ancora esplicitamente chiarito, riguardo al barocco siracusano, in che misura sia dipendente dai danni causati dal terremoto del 1693, se di fatto quest’ultimo abbia contribuito in maniera determinante alla configurazione della città settecentesca, oppure se essa sia il risultato di un processo in parte autonomo. Sulla Siracusa barocca pesa ancora il ricorrente equivoco storiografico di una presunta massiccia ricostruzione del terremoto … che l’avrebbe danneggiata distruggendola quasi completamente”. A questo proposito S. L. Agnello afferma che “il terremoto del 1693, a prescindere da pochi casi bene individuati, non arrecò danni rilevanti al patrimonio edilizio, né intaccò il tessuto urbanistico.
Ora le questioni sollevate sono due: se il terremoto abbia o meno, con la mole delle distruzioni, imposta un’opera di ricostruzione (con l’affermazione, quindi, del nuovo gusto e dell’impianto urbano che ne sarebbe derivato); o se soltanto l’opera di restauro e non di ricostruzione, non abbia da sola determinato l’omogeneità “scenografica” del gusto barocco presentata in Ortigia.
Ci sembra che l’inconsistenza della tesi della totale ricostruzione sia evidente; ma con questo non risulta nemmeno vera l’ipotesi di una estraneità del linguaggio unitario del barocco locale alle vicende determinate dal sisma del 1693. Vogliamo dire che l’ipotesi di lavoro non è, come afferma la Trigilia, verificare se il terremoto ha distrutto o se la città ha avuto una sua dimensione autonoma (dal terremoto), perché appare più verosimile che se pure la città non fu “distrutta” dal terremoto, proprio l’insieme delle opere di restauro e riattamento che si coagularono in pochi decenni resero coerente e distribuito per ogni spazio urbano il gusto barocco.
Esiste sempre, quindi, un preciso nesso di causalità fra l’evento e il suo esito urbanistico. È chiaro che quando si parla di “gusto” non si intende parlare di una ricostruzione di Ortigia su un telaio urbano nuovo ed originalmente pensato (come a Noto).
L’era barocca, essendo un’epoca di gusto “totale”, rifece, rimodellò, ricostruì e non certo solo perché, come appunto a Noto, un terremoto imponeva un’ opera di ricostruzione. La grande ristrutturazione urbana di Palermo è pianificata e organizzata come intervento diretto della nuova cultura nel cuore della città storica. Siracusa non ha vissuto questa riforma generale della città semplicemente perché contava poco o nulla, non era ritenuta una grande e importante città, perché le opere militari, nelle quali si era concentrata l’attenzione dell’intervento politico, la rinserrarono in una dimensione urbana definitiva.
Siracusa non ebbe alcuna riforma urbana, esemplata dalla cultura barocca, ma si rinnovò sul vecchio impianto secondo il nuovo gusto, e tutto questo fu favorito dalla necessità di restauro (anche se non di ricostruzione) del dopo-terremoto. Diamo di seguito un elenco delle opere eseguite, desunto da un altro saggio della Trigilia.
Ricostruzione di architetture andate completamente distrutte:
1 – Facciata del duomo (1728-1753).
2 – Chiesa del monastero di S. Lucia (1695-1705).
3 – Chiesa di S. Domenico (a cominciare dal 1727).
4 – Chiesa di S. Giuseppe.
Ricostruzione parziale di monumenti fortemente danneggiati:
1 – Chiesa di S. Francesco (a partire dal 1697).
2 – Prospetto della chiesa dello Spirito Santo (1727-1731)
Restauri apportati a monumenti lievemente danneggiati e nuove realizzazioni architettoniche:
1 – Prospetto meridionale e principale del palazzo arcivescovile. 2 – Palazzo Beneventano (interno).
3 – Palazzo del Senato.
4 – Chiesa del Collegio.
5 – Chiesa di Montevergini.
6 – Prospetto della chiesa di S. Benedetto.
7 – Chiesa di S. Filippo.
8 – Chiesa e monastero di S. Maria delle monache.
9 – Chiesa dell’Immacolata.
10 – Chiesa di S. Cristoforo.
11 – Chiesa del Carmine (fino alla fine del ‘700). 12 – Chiesa di S. Pietro.
13 – Chiesa di S. Paolo.
14 – Chiesa di S. Giorgio.
15 – Palazzo Gaetani.
16 – Convento dei Fatebenefratelli (ex museo nazionale). 17 – Facciata della chiesa del Ritiro.
18 – Chiesa di S. Rocco.
19 – Chiesa di S. Filippo Neri.
1695- 1703. Su disegno di Luciano Caracciolo viene realizzata la chiesa di S. Lucia alla Badia.
1700 c.Oratorio di S. Filippo Neri.
Portico esterno della chiesa di S. Lucia extra moenia (P. Picherali).
In una parte dell’antica area occupata dalla basilica di S. Marziano viene realizzata la modesta chiesa di S. Giovanni.
Palazzo Impellizzeri.
Palazzo Bonanno.
Chiesa delle Carmelitane. Palazzo Bufardeci. Palazzo Bucceri.
Palazzo Riscica.
Chiesa di S. Francesco.
1704 Esplode la polveriera di castel Maniace; crollano due delle quattro torri angolari.
1705 .Convento di S. Francesco di Paola. Restauri alle muraglie di S. Agostino.
- Restauri alle muraglie dello Spirito Santo e di S. Teresa.
- Pompeo Picherali realizza la chiesa dello Spirito Santo.
- Andrea Palma costruisce la nuova facciata della cattedrale.
- Viene costruito il nuovo quartiere militare nella contrada Maniace.
- Si completano le fortificazioni del forte S. Giovannello.
- Viene realizzato il porticato che unisce i due cortili dell’arcivescovado.
- S. Filippo alla Giudecca.
- L’architetto A. Dumontierimposta i lavori di trasformazione del palazzo arcivescovile; viene aggiunto l’ultimo ordine in alzato e vengono trasformate in balconcini le finestre del piano nobile.
1754 Chiesa di S. Giuseppe.
1760 Palazzo Spagna.
1762 Si rinnova la porta di mare.
1770 Chiesa di S. Filippo alla Mastrarura.
1775 Luciano Alì ristruttura palazzo Beneventano del Bosco.
1792 Si realizza la banchina del porto.
Elencazione cronologica complessiva della realizzazione del sistema dei bastioni di Ortigia e dei loro riadattamenti
1544 Bastione S. Lucia.
1544 Bastione S. Filippo.
1553 Bastione S. Antonio.
1553 Bastione Settepunti.
1561 Piazza d’armi ed alloggiamento militare.
1571 Bastione Aretusa
1595 Porta di mare.
1595 (dal) Fossato e baluardo del castello. 1605 (dal) Bastione Vigliena.
1618 Bastioni del castello chiamati di S. Pietro, S. Caterina, S. Filippo, S. Lucia.
1636 Bastione S. Giacomo e la Ferraria.
1672 Bastione di dritta già Campana. Bastione di sinistra già di S. Michele.
1675 Porta di Ligny e muraglia verso occidente della marina. Porta principale.
1676 Bastione di Punta Castello; ponte che unisce il castello alla città. Bastione S. Domenico.
1677 Porta di Villafranca.
1677 Baluardo Corno.
1704 Un fulmine colpisce la polveriera di castel Maniace; crollano due delle quattro torri angolari.
1740 Quartiere militare e caserma.
1742 Bastione S. Giovannello già di Gradiglia e nuova cinta muraria. 1636 1672
1793 Sistemazione della Passeggiata della marina.
Il barocco e l’urbanistica di Siracusa
La Controriforma segna per l’Italia un momento di precisa svolta ideologica e culturale che interessò tutto il mondo cattolico in modo unitario, tanto nell’area fino a quel momento interessata dalla cultura rinascimentale- manieristica, quanto in quella dominata dall’architettura gotico-catalana.
Occorrerà brevemente dire che questa dicotomia culturale fra nord e sud d’Italia non si mediò in una sintesi dialettica che vide nella nascita del barocco il suo termine finale, ma le due culture furono semplicemente rese obsolete ed eliminate per sovrapposizione dall’esplosione del barocco.
In Sicilia (con la sola e relativa eccezione di Messina) non si ebbe una cultura del Rinascimento; l’isola viveva una sua corrente architettonica compiutamente mediterranea le cui radici non erano nell’esperienza toscana e nell’umanesimo ma nella tradizione arabo-spagnola. Questa corrente, essa stessa sintesi di precedenti momenti storico – culturali, con il Carnelivari troverà un equilibrio “classico” e una grande padronanza dei suoi contenuti, rivissuti alla luce di uno spirito che, se anche estraneo completamente al rinascimento, seppe approdare alla piena maturazione di tutte le proprie tematiche.
Al nord, frattanto, l’ideale palingenetico del Rinascimento era definitivamente tramontato di fronte alla frattura dell’unità spirituale europea provocata dalla prima rivoluzione borghese della storia occidentale: la Riforma protestante.
L’umanesimo non ebbe né la forza né il coraggio di spostarsi dal campo teoretico a quello politico (nel quale già urgevano gli Anabattisti e Tommaso Münzer) chiudendosi così la strada a un rinnovamento contenutistico.
A questo scacco storico corrispose l’affermazione dell’alienazione manieristica (del resto già presente nell’ultimo Michelangiolo) intesa come negazione dell’ ottimismo proprio del Rinascimento e vissuta come dramma religioso (cioè intimista e in fondo proprio per questo liberatorio in quanto disimpegnante) irrisolto in forme di evasione estetica. In questo senso la rinuncia al bello che già Hauser osserva nell’ultimo Michelangiolo, segna anche il tramonto dell’ipotesi di Riforma italiana materiata dal troppo breve idillio del Rinascimento.
Dopo il concilio di Trento e l’istituzione dell’ordine gesuitico la chiesa (la più grande committente, il più magnanimo mecenate, la più tremenda persecutrice) abbandonò il manierismo e la sua cultura, ormai troppo intellettualizzata ed aristocratica, per trasferirsi, con l’enorme peso della propria potenza, in un campo di cultura nel quale l’arte, tornando a essere utile, ritornasse anche a essere bella (e sarà appunto questa seconda regola che renderà incompatibile al nuovo corso culturale l’arte del Caravaggio).
Questa corrente, che fu l’arma di propaganda più poderosa nelle mani dei gesuiti, fu il barocco. Rotto definitivamente l’equilibrio intimistico- intellettualistico proprio del manierismo, il barocco parte alla conquista dello spazio in un supremo ed appagato sforzo di testimonianza trionfalistica.
Per tutto il secolo XVII i gesuiti, a Roma, avranno ben salde nelle mani le chiavi culturali e tecniche di questa cultura, e a Roma si formeranno i più grandi architetti del nuovo ordine.
In ogni città viene costruito un collegio gesuitico e una chiesa del Gesù (o del Collegio); modellati entrambi su canoni romani forniranno la misura alla quale gli architetti dovranno uniformarsi per le loro realizzazioni.
Siracusa non fu, né poteva esserlo alcuna città, una eccezione alle regole e l’epoca barocca inizia in città con l’erezione del Collegio gesuitico, a due passi dalla cattedrale. Ortigia, prima d’allora, aveva un volto eminentemente gotico-catalano, qua e là punteggiato ancora dai grandi palazzi trecenteschi, serrata tutta entro la poderosa cinta muraria del secolo XVI. L’ingresso dell’isola era guardato dalla munitissima fortezza spagnola che si apriva sulla città attraverso la complicata scena della porta reale.
Gli Agnello, nel loro fondamentale studio sulla Siracusa barocca, hanno già compiutamente dimostrato che a Siracusa l’acquisizione delle forme barocche fu dovuta a due principali fattori: da un lato la produzione di uno sparuto gruppo di veri architetti (il Vermexio, il Picherali, l’Alì) materiata in notevoli realizzazioni dominanti lo spazio urbano d’Ortigia; dall’altro lato l’acquisizione delle forme barocche fu invece dovuta a un’ oscura e vasta schiera di artigiani per cui vicino all’architetto, dominatore della forma, padrone di un linguaggio personale, vedi costantemente affacciarsi l’umile artigiano, il modesto intagliatore che non ha una scuola, che non è ligio a una regola, ma che nel suo impulso creativo sente veramente il bello e lo traduce, come per istinto, con forme ed espressioni ricche di gusto e di vita interiore. Architettura in gran parte anonima … [che offre ancora al visitatore] degli angoli deliziosi dove il portichetto fiorito, il balcone a pancia, il portale bugnato, il prospetto borrominiano, il turgido mensolone desinente nel grottesco mascherone, hanno richiami suggestivi.( Giuseppe e Santi Luigi Agnello)
Il barocco siracusano, lungo i suoi due secoli di esistenza, potremmo dividerlo in due tempi netti, il primo dal 1600 al 1693, data del citato terremoto che, distruggendo o danneggiando molti fabbricati impose vari problemi di ricostruzione e soprattutto di restauro e quindi favorì l’affermazione di nuovi orientamenti del gusto; il secondo periodo intercorrente fra il 1693 e la fine del secolo XVIII.
Il primo di questi tempi è tutto dominato dall’edilizia religiosa mentre il secondo vede una certa ripresa delle fabbriche civili con l’eccezione di un solo grande lavoro ecclesiastico: la nuova facciata della cattedrale realizzata da Andrea Palma.
La “scena” d’Ortigia cambiò completamente. Quella tendenza che abbiamo isolato nel Quattrocento, quel portare il cuore dell’edificio nel suo cortile, quella voluta silenziosità urbanistica (le cui radici sono arabo-mediterranee) vengono totalmente stravolte dalla tendenza barocca a spostare il centro d’interesse dell’edificio nella complessa macchinosità delle facciate, nei torniti affacci sulle viuzze medievali, nel ricollocare lo spettatore-fruitore nella via, al centro di lunghe teorie prospettiche dove tutto è movimento, impegno spaziale, ridondanza di ritmi, pienezza di sensi.
L’ambiente più importante della città, la piazza della cattedrale, cambia completamente tutti i propri rapporti volumetrici, i suoi prospetti, le sue quinte dalle quali viene obliterato ogni riferimento al Medioevo.
Nel 1618 il rinnovamento viene iniziato dal vescovo Giovanni Torres che, al posto di un edificio duecentesco, ordina la costruzione del palazzo arcivescovile che è il primo insediamento barocco sulla piazza. Nel 1629 viene realizzato l’importante palazzo del Senato, che venne a continuare, dallo stesso lato del palazzo arcivescovile, la quinta barocca della piazza, allora interrotta dalla facciata normanna del Duomo che in quell’ambiente cominciò a perdere di vitalità e di rapporto con la città. Nel 1693, crollata questa facciata per il terremoto, venne a crearsi un vuoto fra le due inserzioni barocche che fu magnificamente risolto da Andrea Palma con la realizzazione di un vero capolavoro di scena barocca nella nuova facciata della cattedrale.
Nel 1695, su disegno di Luciano Caracciolo, sul lato meridionale della piazza, a quinta di un suo lato, venne realizzata la chiesa di S. Lucia alla Badia. Il completo rinnovamento di quello che ormai era un ambiente barocco coerente e di notevole importanza fu realizzato da Luciano Alì nel 1775 con la realizzazione, sulla parte opposta a quella occupata dal palazzo del Senato, del palazzo Beneventano del Bosco, che, sia pure in forme più sciolte ed ariose, sarà l’ultimo insediamento barocco sulla piazza della cattedrale.
Il generale rinnovamento edilizio che nell’intera Sicilia caratterizzò il barocco non fu accompagnato, a Siracusa, da una vera e propria ripresa della vita civile e da una espansione demografica. La trasformazione barocca operata prima dalla chiesa e poi dalle grandi dimore civili, lasciò sempre ai suoi margini tutta una minuta edilizia popolare dove effettivamente il gusto degli artigiani locali tradusse in forme dialettali, senza grandi spunti, le forme barocche.
Quello che ha acquistato un valore, quindi, non è tanto la singola costruzione (ed abbiamo visto che al di fuori di pochi edifici importanti non v’è in Siracusa vera grande architettura) ma l’insieme urbanistico che viene a vivere in quel felice innesto fra il vecchio e il nuovo e che tutto si uni formò al gusto barocco.
Il terremoto del 1693 provocò gravi danni alla città già impoverita dalla generale crisi economica investente il Mediterraneo e, principalmente, la Spagna e tutti i suoi possedimenti.
Nel 1729 una grave epidemia decimò ulteriormente la popolazione cittadina e nel 1770 il Brydone così ci parla di Siracusa, ormai tanto provata da tutte queste vicende: Siamo arcistufi di Siracusa, di tutti i luoghi squallidi incontrati fino ad ora è di gran lunga il più squallido. Gli abitanti sono poveri e cencio si oltre ogni dire, a parte questo, molti sono talmente pieni di scabbia che siamo in continua apprensione, e cominciamo ad essere ben contenti di non essere riusciti a trovare un letto. È veramente triste constatare il contrasto fra l’antica magnificenza di questa città e la sua miseria attuale. La grande Siracusa, la più opulenta e la più potente fra tutte le città greche, che con le sue forze fu capace in varie occasioni di tener in scacco le forze di Cartagine e di Roma; che si narra abbia respinto … flotte di duemila vele ed armate di duecentomila uomini … questa superba città, dico, è ora ridotta come rango d’importanza addirittura al di sotto del villaggio più meschino.
Più avanti del passo ricordato lo stesso Brydone insiste su questi aspetti e, parlando del suo soggiorno alla Valletta, scrive: Scesi a terra, ci parve di essere capitati in un altro mondo. Le strade erano affollate di gente ben vestita, il cui aspetto denotava salute ed agiatezza, quanto invece a Siracusa era molto se si vedeva un’anima e le poche persone che andavano in giro tradivano cattiva salute e miseria.
Le impressioni del viaggiatore scozzese non è pensabile che siano state partigiane o improntate a disprezzo per la Sicilia; basta leggere le descrizioni che lo stesso Brydone fornisce di Messina e di Palermo, alla quale dedica molta parte del proprio libro.
Per il vero Siracusa doveva conoscere in quel momento uno dei punti di maggiore contrazione economico-sociale di tutta la propria storia.
Nel secolo XVIII i nomi dei principali architetti operanti a Siracusa sono Luciano Alì (palazzo Beneventano), Luciano Caracciolo, il Dumontier (rimaneggiamento del palazzo Arcivescovile), Pompeo Picherali e principalmente Andrea Palma, che realizzerà in una città che, come ricorda Brydone, era ridotta al lumicino, quel capo d’opera che è la nuova facciata della Cattedrale.
Come in ogni periodo di ripresa di cultura urbanistica, oltre che Ortigia, i lavori edilizi interessarono i due tradizionali punti di S. Marziano e di S. Lucia.
La Chiesa di S. Lucia, probabilmente su disegno di P. Picherali, venne avvolta da un ordine architettonico che avrebbe dovuto costituire un plastico involucro che ne avrebbe totalmente nascosto le strutture. Vicinissimo era già stata realizzata la piccola chiesa del sepolcro di S. Lucia.
A S. Marziano, in una parte dell’area della diruita basilica, si ricavò la chiesa di S. Giovanni. L’ultimo grande palazzo che chiuse la serie del rinnovamento barocco della città è quello realizzato da Luciano Alì nella piazza della Cattedrale: il palazzo Beneventano del Bosco
Elio Tocco