Lo sviluppo della zona industriale di Siracusa
Memoria del prof. Giuseppe Ansaldi.
La storia che stiamo per narrarvi inizia molto indietro nel tempo, alla fine degli anni Cinquanta, quando venne creato l’Asi: il Consorzio per l’Area di sviluppo industriale, trenta chilometri di costa fra Augusta e Siracusa, 43 milioni di metri quadrati di spiaggia e di campagna furono recintati, spianati, lottizzati e venduti. Era un progetto di disastro premeditato, poi diventato colposo. Nacque così la prima raffineria della zona.
Il commendatore Angelo Moratti nel quadro degli aiuti al nostro paese previsti dal piano Marshall fece trasportare via mare da Houston nel Texas un’ intera raffineria, già vecchia, ad Augusta. Un punto strategico sulla via del petrolio, nel centro del Mediterraneo. E inoltre da queste parti il costo del lavoro era almeno tre volte inferiore che a Milano. Poi arrivarono: la Liquilchimica (poi chimica Augusta), che produce materie prime per i saponifici e i detersivi, la centrale termoelettrica Tifeo, quella di Marina di Melilli, i cementifici, raffinerie e altri impianti produttivi sorsero uno dopo l’altro.
Poi arrivò la Montedison: era il 1958 e l’industria milanese acquisì, uno dopo l’altro, la Sincat, la Celene e altri piccoli stabilimenti a sud della rada di Augusta. Infine arrivarono la Centrale termoelettrica di Marina di Melilli, l’lsab, per la cui costruzione, a suo tempo, si celebrò un processo giudiziario agli amministratori di quell’epoca per interessi privati in ordine al rilascio delle autorizzazioni di legge, ed infine l’lcam che produce etilene. L’lsab è una delle più grosse raffinerie d’Europa. Insieme alla Esso tratta 50 milioni di greggio all’anno, pari a un terzo del greggio lavorato in Italia.
Si creò così quello che un ecologo definì la più grande concentrazione di industrie inquinanti d’Europa che scaricano nell’aria e nel mare della terra d’Archimede centinaia di tonnellate di residui velenosi ogni giorno. Fu il lavoro per molte famiglie nel cui destino esisteva solo una certezza di sopravvivenza, tremila chilometri più a nord nelle acciaierie della Ruhr o nelle miniere di carbone del Belgio.
Fu anche la devastazione irrimediabile di un territorio, trenta chilometri di costa vergine, il mare più pescoso della Sicilia orientale, centinaia di ettari di aranceti. Un disastro ecologico, ed è questo l’aspetto più allucinante della vicenda, che era sicuramente prevedibile.
Esso, in realtà, fu il frutto della speculazione con cui fu programmata la nascita e la crescita di questa area industriale: non si tenne conto delle preesistenti attività economiche. Le zone collinari, pregevoli per la produzione agricola (mandorleti, oliveti, vigneti, agrumeti), subirono forti decrementi di popolazione, dovuti a fenomeni di disgregazione e abbandono delle campagne che provocarono grossi squilibri nella distribuzione territoriale. Il prodotto lordo della agricoltura diminuì costantemente con un tasso annuo spaventoso.
Così fu per le altre attività produttive: artigianato, pesca e lavorazione del pesce, estrazione del sale, carpenteria navale, conserve alimentari ecc. Fu privilegiata soltanto l’industrializzazione. Il boom economico aveva annebbiato il senso critico della popolazione.
Le preesistenze ambientali furono cancellate. Non si progettò una rete di impianti di depurazione, non si tenne conto degli effetti micidiali che i fumi delle fabbriche vicine, combinandosi insieme nell’atmosfera, avrebbero potuto provocare; non ci si chiese che cosa sarebbe accaduto venti anni più tardi a chi avrebbe vissuto sulla propria pelle quella crescita industriale selvaggia e irrazionale. Le industrie, quando impiantano una fabbrica, studiano accuratamente il costo delle materie prime, il costo degli impianti, il costo del lavoro, dove vendere i prodotti. Sanno programmare in pochi mesi capovolgimenti di produzione, cessazione di attività, trasferimenti di personale e di capitale, ma non prevedono studi riguardanti l’impatto ambientale che deriva dalla loro presenza nel territorio. Non si preoccupano affatto delle conseguenze che si avranno sull’ambiente esterno e sulla vita degli uomini. S’ignora e si disprezza il costo ambientale ed umano della produzione.
Per Montedison, Anic, Isab fu tutto molto semplice: le industrie trovarono amministratori accondiscendenti, una provincia drammaticamente affamata di lavoro, un terreno ideale, insomma, per tirare su quelle fabbriche sporche che al nord non volevano più. Una vicenda siciliana fatta di connivenze e di tracotanza con cui vent’anni dopo i sindaci di Augusta e Siracusa dichiareranno sdegnati a un giovane magistrato di Augusta, reo di fare il proprio lavoro, che l’inquinamento nei territori dei loro comuni è soltanto una favola: non c’è, anzi non è mai esistito. Sei mesi più tardi le madri di Augusta e di Priolo daranno alla luce i primi bambini malformati. Quasi trent’anni dopo scoppiarono le contraddizioni di una industrializzazione forzata e distorta. Vennero al pettine i nodi del disastro.
Queste le date più significative. Vicende che negli ultimi anni si intrecciarono con l’azione giudizi aria del pretore di Augusta dell’epoca Antonino Condorelli.
Settembre 1976. Il simbolo di questa industrializzazione selvaggia è Marina di Melilli, un piccolo centro balneare di pescatori, sacrificato perché non poteva convivere con la raffineria sorta tre anni fa. Le case espropriate sono state rase al suolo. Dei mille abitanti ne sono rimasti solo un centinaio. “Qui una volta non mancava niente, c’erano negozi, salumerie, c’era persino la chiesa. L’avevamo costruita noi del paese, mettendoci soldi e mano d’opera, ma quando sono venuti quelli dell’ Asi il vescovo di Siracusa l’ha venduta senza chiedere niente a nessuno e si è tenuto anche i soldi, 95 milioni”.
“Sono venuti mille volte, prima pregando e poi minacciando per convincermi a vendere la casa. Volevano darmi 19 milioni, dicevano che se non vendevo avrei subito l’esproprio. Ma io sono rimasto e la casa non sono riusciti a togliermela. Ho lavorato tutta una vita per realizzare il mio sogno, quello di vivere in riva al mare e loro volevano ricacciarmi a Catania. Quelli che se ne sono andati adesso vengono qui, guardano il mare o dove prima c’era la loro casa e si mettono a piangere. Stupidi, ci hanno creduto a quella fesseria della casa a scomputo, del villaggio sulla collina, ora vivono nella merda di Priolo”. Gli altri infatti le case sulla collina tra Floridia e Solarino non le videro mai. Andarono quasi tutti a vivere a Priolo dove la puzza e il fumo sono più opprimenti che a Marina di Melilli. L’Asi, poi, non costruì niente sui terreni spianati: un pretore scomodo, e soprattutto la recessione, la grande crisi del settore chimico fecero rientrare tutti i progetti. Oggi Marina di Melilli è una città fantasma, a poco a poco l’erba sta coprendo tutto.
- Settembre 1979. Nella rada di Augusta vengono raccolte per oltre una settimana decine e decine di tonnellate di pesce, improvvisamente morto. Il pretore Condorelli apre un’inchiesta e qualche giorno dopo la capitaneria di porto denuncia i colossi chimici per inquinamento. Negli ambienti industriali si parla subito di ripercussioni sull’occupazione se gli impianti verranno fermati dalla magistratura. La causa improvvisa che continua a provocare la strage rimarrà sconosciuta. Si parlerà solo di eutrofizzazione.
- 3 ottobre 1979. Arriva ad Augusta la Commissione ambiente dell’ Assemblea regionale. Il presidente Cagnes parla di responsabilità degli amministratori che non hanno mai vigilato.
- 5 ottobre 1979, ore 21.30. Metà della popolazione di Priolo abbandona il paese circondato dalle ciminiere. È scoppiato l’impianto PR 1. Il giorno dopo in un ospedale catanese muore per le gravi ustioni l’operaio Vito Pesce di 53 anni.
- 12 novembre 1979. La morte fa il bis alla Montedison. Alle tre di notte un boato che si sente distintamente anche a venti chilometri di distanza distrugge l’impianto AM/6. Tre operai muoiono, due sono feriti. Si scoprì che l’impianto aveva 21 anni di vita. Il giorno dopo, mentre il magistrato di Augusta sequestra questa parte della fabbrica, a Siracusa sfilano 20.000 persone, operai e studenti: la più grande manifestazione popolare mai registrata da queste parti. Oltre 300 sono stati i lavoratori morti e 80.000 quelli infortunati nella storia della nostra industrializzazione.
- 22 novembre 1979. Da Roma arriva la Commissione industria della Camera. In Parlamento viene chiesta l’incriminazione dei dirigenti Montedison per omicidio multiplo colposo.
- 5 dicembre 1979. La Commissione legislativa dell’ Ars svolge una indagine conoscitiva sui problemi dell’inquinamento nella rada di Augusta e sugli ultimi incidenti avvenuti nell’area industriale. La relazione così conclude: “Non vi sono controlli da parte di nessuno, nemmeno da parte degli organi preposti. Da anni non risulta che siano stati fatti interventi di manutenzione straordinaria agli impianti”. A questa indagine segue una mozione approvata dall’Assemblea regionale con la quale si dichiara la zona industriale area di grave emergenza ambientale e si approvano proposte di risanamento; tra l’altro si istituisce una commissione ad alto livello scientifico per accertare le cause del degrado ambientale e le condizioni di insicurezza del lavoro negli stabilimenti. Impegni assunti e puntualmente disattesi.
- 18 febbraio 1980. Il pretore Condorelli conclude il super processo per le responsabilità sui mancati controlli per l’inquinamento atmosferico degli ultimi venti anni. Vengono condannati i 16 membri del Comitato regionale per l’inquinamento atmosferico e 8 amministratori locali. Il processo prenderà il nome di PIacenti + 23, l’assessore regionale al Territorio e Ambiente viene “dimesso” d’autorità dal pretore. Si solleva anche un caso di costituzionalità che non avrà seguito.
- 23 giugno 1980. L’industria si appropria dell’acqua, bene collettivo. Il biologo inglese Keith Thompson lancia l’allarme: il papiro sul Ciane muore per infiltrazione d’acqua salata nella falda a causa dell’eccessivo emungimento industriale. A seguito, infatti, dell’instaurarsi progressivo di un rilevantissimo insediamento industriale, l’utilizzazione dell’acqua di falda ha raggiunto dimensioni tali da far riscontrare variazioni altamente allarmanti delle condizioni quantitative e qualitative delle risorse idriche sotterranee esistenti. In particolare si sono riscontrati punti di abbassamento del livello piezometrico anche superiori a 150 metri, e altri punti ove il verificarsi progressivo dell’intrusione salina, a seguito del richiamo dell’acqua marina, determinata dalla depressione piezometrica ha elevato il tenore dei cloruri in maniera allarmante.
- 26 settembre 1980. Ad Augusta due minacce: ai posti di lavoro e alla incolumità dei bambini ancora non nati: la paura cresce tra i fumi inquinanti di una delle più alte concentrazioni industriali d’Europa, Una cappa d’angoscia pesa sulla zona. All’ospedale Muscatello di Augusta nascono sette bambini malformati. Diventeranno 15 in tre mesi. Il grande imputato è l’inquinamento. Bambini affetti dalle anomalie più bizzarre ed orribili, spesso morivano poche ore dopo il parto.
Una commissione regionale pochi mesi dopo e un’altra dell’Istituto Superiore di Sanità nel 1983 diranno ufficialmente che la media è normale, riferendosi a statistiche nazionali che molti scienziati giudicano inattendibili, e che comunque l’inquinamento esiste, è grave, ma per collegare questo a conseguenze sulla salute e sulla vita dell’uomo è necessario un approfondimento e una indagine epidemiologica che non verrà. Da allora ad oggi decine sono stati i processi per inquinamento. Fra i condannati dal pretore molti i dirigenti industriali. Per la maggior parte di questi processi si attende la sentenza di secondo grado.
E intanto a Priolo, ad Augusta, sulle colline di Solarino si continua a morire. Chi ha mai potuto dimostrare scientificamente che un operaio, trent’anni fra i camini di una raffineria e un tumore maligno ai polmoni, sia stato ucciso dalla fabbrica? Che c’entrano col destino di un essere umano l’anidride solforosa e gli ossidi di mercurio? Nulla, forse. Ci sono solo alcune cifre: il 300/0 dei decessi ad Augusta e a Priolo è causato da tumori; è la causa di mortalità di gran lunga più alta, quasi il doppio del 16% della media nazionale.
Ed ecco il linguaggio dei numeri: ad Augusta muoiono ogni anno in media 350 persone, il 30% di queste persone muore per cancro. Fanno più di cento persone, la metà delle quali se fosse vissuta altrove, probabilmente sarebbe ancora viva. Cinquanta esseri umani ogni anno in venti anni sono mille persone: è il tributo che una città sta pagando per i 10.000 posti di lavoro che le raffinerie le hanno regalato: per non essere costretti ad emigrare per questi posti di lavoro la popolazione di Augusta e di Priolo è condannata a vivere cinque o sei anni di meno. Ma oggi anche l’occupazione viene terribilmente falcidiata dalla cassa integrazione e dai licenziamenti che negli ultimi 4 anni insieme hanno interessato 30 mila operai, soprattutto i cosiddetti disadattati in gran parte invalidi per cause di lavoro. Il polo chimico, il sogno sofferto di questa provincia, muore smobilitato, ucciso dalla nuova generazione di burocrati-manager, figli “efficientisti” e “razionalizzatori” dei padri dell’industria post-bellica.
Ecco, noi crediamo che una maggiore conoscenza, una corretta informazione e lo sviluppo di una coscienza critica che sappia farsi carico dei problemi della collettività rappresentino strumenti indispensabili per costruire una vera e propria cultura dell’ambiente che abbia come fondamentale obiettivo la partecipazione alla gestione del territorio e non una partecipazione per delega, abitudine ormai consolidata che ha portato a un assopimento della coscienza individuale, alla rinuncia del proprio diritto a una più autentica qualità della vita che non si riesce ancora a costruire: né come speranza, né come sogno, né come realtà.
Tratto da Sicilia in pericolo Sugarco Milano 1984
Elio Tocco